Il Calderone Vol. 4 (Mini Recensioni) - L'immaginario (Anime), Se un Albero Cade in una Foresta (Serie TV), Spa (Graphic Novel) e Dark Tranquillity (Metal)
Nota: Questo articolo potrebbe contenere alcuni SPOILER minori sull'anime L'immaginario e sulla serie tv Se un Albero Cade in una Foresta, entrambi disponibili su Netflix. Grazie.
Dopo un estate rovente, con l'arrivo dei primi freddi è finalmente arrivato il momento giusto di riaccendere il fuoco sotto al pentolone e dare una rimestata alla zuppa. Questa volta tocca al terzo anime prodotto dallo Studio Ponoc, L'immaginario, all'interessante serie thriller coreana Se un Albero Cade in una Foresta, all'inquietante graphic novel Spa dello svedese Erik Svetoft e, infine, all'ultima fatica discografica di una delle band simbolo della scena death metal melodica svedese, i Dark Tranquillity. Let's go!
- L'immaginario (Recensione)
- Se un Albero Cade in una Foresta (Recensione)
- Spa di Erik Svetoft (Recensione)
- Dark Tranquillity - Endtime Signals (Recensione)
L'immaginario (Anime) - Recensione
Lo Studio Ponoc nacque quando, nel 2015, il ben noto Studio Ghibli annunciò la sospensione a tempo indeterminato di nuove produzioni [le cose andarono poi diversamente, con lo studio che tornò presto sui suoi passi riprendendo presto le attività di animazione]: il regista Hiromasa Yonebayashi (nel suo curriculum gli ottimi Quando C'era Marnie e Arrietty) e il produttore Yoshiaki Nishimura, supportati da un buon numero di animatori di alto profilo provenienti sempre dallo Studio Ghibli, decisero così di dare il vita a un nuovo studio con l'obiettivo non dichiarato di divenire gli eredi spirituali di Hayao Miyazaki e Isao Takahata. Un obiettivo decisamente ambizioso, non supportato però dai risultati: il primo anime partorito dallo Studio Ponoc, Mary e il Fiore della Strega, pur presentando (come era prevedibile) animazioni di alto livello, cadeva nella più insidiosa della trappole, quella di volere dimostrare a tutti i costi di essere i veri eredi dello Studio Ghibli. Per tutta la durata della pellicola si ha un costante senso di deja vu, con riferimenti netti a molte degli anime più popolari partoriti dallo studio di Miyazaki che, di fatto, affossano l'anime, privandolo di qualunque personalità e relegandolo più a quello che risulta essere semplicemente un discreto esercizio di stile. Dopo lo sperimentale e interessante anime a episodi Modest Heroes (più uno showcase che altro, a voler essere sinceri) e dopo avere collaborato con lo stesso Miyazaki nella realizzazione de Il Ragazzo e l'Airone, lo Studio Ponoc è pronto a sfornare il suo terzo anime, L'immaginario (diretto da Yoshiyuki Momose, animatore di grande esperienza che ha lavorato ad alcune delle pellicole più significative dello Studio Ghibli) questa volta distribuito in esclusiva da Netflix.
Amanda, una bambina rimasta orfana del padre e dotata di grandissima fantasia, crea un amico immaginario, Rudger, che la possa aiutare a superare il trauma della perdita del padre. Un giorno la bambina si imbatte in Mister Bunting, un inquietante persona che nasconde un segreto: è in grado di vedere gli amici immaginari dei bambini e cibarsene in modo da prolungare la propria vita indefinitamente. Tentando di sfuggire a Bunting, Amanda finisce in coma dopo essere stata investita da un auto. Senza più l'immaginazione della bambina a tenerlo in vita, Rudger comincia a scomparire per sempre, ma è salvato dal gatto Zinlan (a sua volta un ex-amico immaginario), che gli narra dell'esistenza di un luogo sicuro dove gli immaginari, ora dimenticati, possono sopravvivere.
Rispetto all'esordio Mary e il fiore della Strega, L'immaginario è sicuramente un buon passo in avanti. L'anime, infatti, soprattutto a livello tematico mostra una volontà di tentare di superare le pesanti influenze delle opere dello Studio Ghibli, optando per un prodotto più universale (compresa l'inedita ambientazione londinese), che guarda sicuramente anche al mercato Occidentale con un approccio che può ricordare quello dell'altro studio d'animazione più importante degli ultimi 30 anni, parliamo ovviamente di Pixar. Da sottolineare anche la scelta di rendere la scena ambientata nella città degli immaginari un sentito omaggio a capolavori dell'animazione (davvero inatteso quello al compianto Satoshi Kon), del cinema e della letteratura. Detto questo, la pellicola finisce per pagare comunque dazio ai capolavori dello Studio Ghibli. Così, nel personaggio di Emily, il capo degli ex-amici immaginari, si avvertono forti echi di molte delle tipiche eroine di Miyazaki (in particolare Nausicaa), mentre la scena ambientata nella città degli immaginari, con la sua parata di esseri colorati, richiama chiaramente scene analoghe presenti nei film di Isao Takahata. Insomma, le influenze sono nette, palesi e dichiarate, ma, fortunatamente, non prendono il possesso della narrazione come invece avveniva con Mary e il fiore della Strega.
Per il resto, L'immaginario risulta un prodotto più che discreto: la sceneggiatura è solida, nonostante una parte centrale dove il ritmo rallenta moltissimo per la necessità di spiegare le regole del mondo degli immaginari e, al contempo, tributare un sentito omaggio a tante opere (giapponesi e non). Anche il messaggio centrale dell'opera, che celebra il potere salvifico dell'immaginazione per un bambino, non è certo nulla di nuovo, ma è comunque ben sviluppato, offrendo una morale semplice e universale. Come era prevedibile, l'animazione resta a un livello molto alto, soprattutto nelle splendide scene in cui Amanda e Rudger vivono incredibili avventure nel mondo dell'immaginazione, ma mostra anche qualche incertezza di troppo quando c'è da unire efficacemente l'animazione tradizionale agli sfondi tridimensionali in CGI, forse la vera croce dell'animazione giapponese negli ultimi anni. In definitiva L'immaginario è sicuramente un prodotto di qualità, adatto a tutta la famiglia e digeribile anche da chi non è troppo avvezzo al mondo degli anime; come detto, sicuramente un passo in avanti per lo Studio Ponoc, che però è ancora alla ricerca di una propria identità definitiva che la possa affrancare da pesantissime eredità.
L'immaginario è un film anime trasmesso in esclusiva in streaming su Netflix.
Se un Albero Cade in una Foresta (The Frog - Serie TV) - Recensione
La serie coreana Se un Albero Cade in una Foresta segue due storie parallele che si svolgono nello stesso luogo, una località turistica coreana immersa nel verde. Nella prima, vediamo Koo Sang-jun (interpretato da Yoon Kye-sang), proprietario di un motel in cui ha investito tutti i propri risparmi, accogliere nella propria struttura un giovane inquietante, che si rivela essere un serial killer e che commette un sanguinoso omicidio proprio nel motel. Un avvenimento che non solo sarà fatale al killer stesso (catturato poco dopo dalla polizia), ma anche a Koo Sang-jun, che si ritroverà la vita distrutta dall'accaduto.
La seconda storia segue invece Jeon Yeong-ha (interpretato da Kim Yoon-seok) un uomo di mezz'età, rimasto vedovo della moglie, che gestisce una casa vacanze nella stessa zona. La sua vita è sconvolta dall'arrivo di una misteriosa donna, Yoo Seong-a (interpretata da Go Min-si), accompagnata da un bambino piccolo, che decide di affittare la casa per una notte. La donna se ne va la mattina seguente, ma alcuni indizi come la presenza di macchie di sangue e un forte odore di candeggina, fanno sospettare Jeon Yeong-ha che la donna abbia commesso un crimine terribile quella notte, ma decide di non denunciare l'accaduto, convincendosi che le sue siano solo paranoie. Un anno dopo, il ritorno della donna trasformerà la vita di Jeon Yeong-ha in un vero e proprio incubo.
La seconda storia segue invece Jeon Yeong-ha (interpretato da Kim Yoon-seok) un uomo di mezz'età, rimasto vedovo della moglie, che gestisce una casa vacanze nella stessa zona. La sua vita è sconvolta dall'arrivo di una misteriosa donna, Yoo Seong-a (interpretata da Go Min-si), accompagnata da un bambino piccolo, che decide di affittare la casa per una notte. La donna se ne va la mattina seguente, ma alcuni indizi come la presenza di macchie di sangue e un forte odore di candeggina, fanno sospettare Jeon Yeong-ha che la donna abbia commesso un crimine terribile quella notte, ma decide di non denunciare l'accaduto, convincendosi che le sue siano solo paranoie. Un anno dopo, il ritorno della donna trasformerà la vita di Jeon Yeong-ha in un vero e proprio incubo.
Non c'è dubbio che la cultura coreana sia diventata molto popolare in Occidente negli ultimi anni, sia a livello culinario, che a livello musicale con l'impensabile successo delle band K-pop e, infine anche a livello cinematografico, non solo con il clamoroso (quanto meritato) premio Oscar a Parasite, ma anche per il successo planetario di Squid Game, ancora oggi la serie più vista di sempre su Netflix. È quindi piuttosto ovvio che la società di Los Gatos abbia aumentato esponenzialmente gli investimenti in film e serie coreane, l'ultima delle quali, con il curioso titolo Se un Albero Cade in una Foresta (un riferimento alla frase che tutti i protagonisti, a turno, recitano nell'incipit di ogni puntata), è arrivata da poco sulla piattaforma streaming generando molto interesse. La serie TV (basata su una storia originale ideata dallo stesso regista Mo Wan-il) si presenta come un thriller basato sul contorto rapporto di odio e amore tra una carnefice e la vittima che si diverte a tormentare, un tema che è stata l'idea portante di due serie occidentali molto acclamate, Hannibal e Killing Eve. A questo, si aggiunge il tema del superamento del trauma e di come una tragedia (il metaforico albero del titolo) possa segnare la vita dei personaggi coinvolti [le due storie, in realtà, si svolgono su piani temporali differenti, come si intuisce durante la visione del primo episodio].
Nonostante un'idea mutuata da prodotti occidentali, Se un Albero Cade in una Foresta è un prodotto invece molto legato alla produzione seriale coreana, con un ritmo spesso molto compassato, una narrazione complessa e intricata che richiede un certo sforzo intellettuale allo spettatore e caratterizzazioni che non sfociano nel tipico manicheismo americano, ma che sono invece sfumate e complesse, moralmente ambigue, anche per quanto riguarda i personaggi in teoria più positivi. Ne esce così una serie solida e coinvolgente, caratterizzata da un buon livello di regia, messa in scena e sceneggiatura, a patto di superare il difficile scoglio dei primi quattro episodi, davvero lenti e a tratti troppo ermetici. Una volta superato il primo blocco, però la serie inizia a guadagnare velocità, diventando sempre più tesa e riuscendo a dare più spessore ai personaggi, soprattutto alla villain Yoo Seong-a, che diventa sempre più diabolica e irritante, coinvolgendo così lo spettatore. Per contro, la proverbiale rigorosità delle sceneggiature coreane viene sorprendentemente meno in vari punti della narrazione, con alcune comode scorciatoie prese per fare continuare la storia (in particolare negli ultimi episodi), qualche incongruenza e un utilizzo del luogo comune del "cattivo indistruttibile" che risulta davvero poco credibile con un personaggio minuto come Yoo Seong-a. In definitiva, Se un Albero Cade in una Foresta è una serie thriller valida e interessante, pur con qualche sostanziale difetto, a patto di riuscire a superare indenni la visione dei primi episodi.
Se un Albero Cade in una Foresta è una serie tv coreana trasmessa in esclusiva in streaming su Netflix.
Spa di Erik Svetoft (Saldapress - Graphic Novel) - Recensione
I labirintici corridoi di una Spa di lusso nascondono inquietanti segreti, tra dipendenti bullizzati, dirigenti depressi e insoddisfatti, clienti opprimenti e indicibili orrori che si nascondono nelle pure acque termali. La graphic novel non ha una vera e propria storia, ma è più è un vero e proprio viaggio negli inferi (termali) con un senso di inquietudine e terrore sempre crescente.
Ha suscitato molto interesse la pubblicazione di Spa, graphic novel dell'autore svedese Erik Svetoft, da parte della sempre ottima Saldapress. Si tratta infatti dell'esordio in Italia per il fumettista svedese (rimangono al momento ancora inedite le sue prime due opere) che si è fatto ben presto un nome sulla sempre effervescente scena fumettistica indipendente europea grazie al suo utilizzo di uno stile horror grottesco (sicuramente debitore del maestro Junji Ito), caratterizzato da un segno denso e complesso e, soprattutto, da un'immaginazione incredibile. Chiariamo subito: Spa non racconta una storia lineare con un inizio e una fine, ma è più uno spaccato di una giornata di un demoniaco centro benessere dove si intrecciano le storie dei varie personaggi, tanti micro-quadretti che non hanno però una vera e propria conclusione. Tutto questo rende il fumetto estremamente frammentario e senza struttura, fattore che potrebbe infastidire chi cerca un tipo di narrazione più classico: in alcuni momenti si ha più l'impressione di sfogliare un libro di splendide quanto inquietanti illustrazioni, piuttosto che un fumetto.
Detto questo, sarebbe ingiusto non sottolineare il talento puro di Erik Svetoft: il tratto è personale, denso e ricchissimo di particolare, l'immaginazione davvero potentissima e alcune scelte (come quella di rappresentare i visi dei personaggi come totalmente privi di alcuna espressività) davvero audaci. Certo, l'ispirazione dalle opere di Junji Ito è innegabile, ma il fumettista svedese compensa il tutto con innegabile personalità. Degni di nota anche gli spunti più satirici, che prendono di mira una certa cultura aziendale tossica nel Nord Europa, così come la critica allo snobismo della classe alto borghese. Spunti interessanti e, fortunatamente, mai troppo invadenti, che arricchiscono ulteriormente la narrazione.
Detto questo, sarebbe ingiusto non sottolineare il talento puro di Erik Svetoft: il tratto è personale, denso e ricchissimo di particolare, l'immaginazione davvero potentissima e alcune scelte (come quella di rappresentare i visi dei personaggi come totalmente privi di alcuna espressività) davvero audaci. Certo, l'ispirazione dalle opere di Junji Ito è innegabile, ma il fumettista svedese compensa il tutto con innegabile personalità. Degni di nota anche gli spunti più satirici, che prendono di mira una certa cultura aziendale tossica nel Nord Europa, così come la critica allo snobismo della classe alto borghese. Spunti interessanti e, fortunatamente, mai troppo invadenti, che arricchiscono ulteriormente la narrazione.
In definitiva, Spa è una graphic novel sicuramente degna di interesse, i cui punti di forza sono le splendide illustrazioni, un'ottima capacità nel generare inquietudine ne lettore (che mi ha ricordato parecchio le atmosfere della serie TV capolavoro di Lars Von Trier, The Kingdom) e la bravura nell'inserire temi sociali senza mai inficiare la narrazione. Per contro, un'eccessiva frammentarietà, una quasi totale mancanza di struttura narrativa e alcune scene stilistiche estreme, potrebbero scontentare chi cerca un tipo di fumetto più canonico. Un ultimo piccolo appunto: nonostante la confezione impeccabile, con tanto di sovraccoperta, il prezzo del volume è sicuramente importante per un'opera che si legge in un'oretta, ma che si presta a diverse riletture.
Spa è una graphic novel edita in Italia da Saldapress. Il volume è disponibile nei maggiori store online di libri, oltre che ovviamente in fumetteria e nelle librerie di varia.
Dark Tranquillity - Endtime Signals (Album) - Recensione
Devo ammettere che avevo dato per finiti i Dark Tranquillity, una delle band seminali della scena melodeath, dopo l'abbandono di gran parte dei i membri storici (a eccezione del cantante Mikael Stanne e del tastierista Martin Brändström), e, soprattutto, dopo un album alquanto insulso come il precedente Moment, caratterizzato da un sound dove le chitarre svolgevano il semplice lavoro di accompagnamento e da un songwriting piatto e mai capace di lasciare il segno. Aggiungendo a questi fatti gli impegni del leader Mikael Stanne, presente in ben 3 progetti paralleli (The Halo Effect, Grand Cadaver e il nuovissimo supergruppo dark rock Cemetary Skyline), temevo che per i Dark Tranquillity fosse arrivato il momento di una relativamente lunga pausa o di un pensionamento anticipato.
Ecco invece arrivare Endtime Signals, tredicesimo lavoro di una ormai amplissima discografia che mi ha abbastanza sorpreso. Innanzitutto, la prima (lieta) novella è il ritorno delle chitarre a un ruolo di primo piano nel sound della band, merito di Johan Reinholdz, entrato nella formazione sul deludente Moment, che ha partecipato alla stesura di gran parte dei brani; il suo contributo è decisamente sostanziale e si nota da subito la presenza di riff e linee di chitarra più incisivi, oltre che il ritorno di assoli più corposi e riusciti. Per il resto, l'album si può descrivere come una sorta di buon "greatest hits" di tutta la carriera dei Dark Tranquillity, con brani che strizzano l'occhio a tutta la storia della formazione svedese, ben bilanciato tra gli ovvi richiami al passato remoto ("Unforgivable") e brani più snelli e moderni ("Drowned Out Voices", che richiama le atmosfere dell'ottimo Atoma). Un disco forse di mestiere (cosa peraltro più che accettabile dopo oltre trent'anni di carriera, tra alti e bassi), ma che risulta un ascolto piacevole grazie a un songwriting generalmente ispirato, a una già citata ritrovata vitalità grazie al buon lavoro in sede di scrittura di Johan Reinholdz, e a un azzeccato mood oscuro e malinconico, oserei dire quasi autunnale. Non mancano comunque difetti: in particolare, la seconda parte sembra un po' afflosciarsi dopo un inizio molto convincente e non si possono non citare i due brani dove Mikael Stanne sfodera il suo controverso cantato pulito. Al solito, il simpatico cantante ce la mette tutta, ma il suo cantato così impostato risulta fatalmente piatto, soprattutto sull'evocativa e sentita power ballad "One of Us is Gone", dedicata al chitarrista Fredrik Johansson, tra i fondatori della band, scomparso nel 2022.
In definitiva, Endtime Signals segna decisamente un ritorno a discreti livelli per i Dark Tranquillity dopo il passo falso di Moment: non stiamo certo parlando di un lavoro capace di rivaleggiare con le gemme del passato, ma di un disco realizzato con mestiere e professionalità che ci restituisce una band che ha saputo superare la perdita di membri storici e che risulta un ascolto piacevole, tra alti e bassi.
In definitiva, Endtime Signals segna decisamente un ritorno a discreti livelli per i Dark Tranquillity dopo il passo falso di Moment: non stiamo certo parlando di un lavoro capace di rivaleggiare con le gemme del passato, ma di un disco realizzato con mestiere e professionalità che ci restituisce una band che ha saputo superare la perdita di membri storici e che risulta un ascolto piacevole, tra alti e bassi.
Endtime Signals è disponibile in formato digitale e fisico sul sito ufficiale dell'etichetta Century Media. E' inoltre disponibile in formato fisico e digitale su tutti i maggiori store online. Il disco è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming, oltre che sulla Pagina Bandcamp della band. Per maggiori informazioni, visitate la Pagina LinkTree della band.
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