Il Calderone Vol. 3 (Mini Recensioni) : Ghostbusters - Minaccia Glaciale (Film), Eric (Serie TV), Judas Priest (Heavy Metal), Bruce Dickinson (Heavy Metal)

Il Terzo articolo contenente mini recensioni varie

Nota: Questo articolo potrebbe contenere alcuni SPOILER minori sul film Ghostbusters - Minaccia Glaciale (attualmente disponibile in home video e VOD) e sulla serie tv Eric disponibile su Netflix. Grazie.

Diamo un'altra rimestata alla pozione che bolle nel calderone ed eccoci quindi giunti al terzo appuntamento con questa rubrica minestrone con nuove mini recensioni: questa volta tocca al quinto film dedicato al franchise dei Ghostbusters, ovvero Minaccia Glaciale (da poco arrivato in home video e VOD) e alla serie drammatica Eric con protagonista il grandissimo Benedict Cumberbatch; passando poi al lato musicale, questa volta tocca a due leggende assolute del metal classico uscite nella prima metà dell'anno, gli immortali Judas Priest e il mitico Bruce Dickinson. Let's go!

Un banner pubblicitario del film Ghostbusters Minaccia Glaciale

Ghostbusters - Minaccia Glaciale (Film) - Recensione

Quello dei Ghostbusters è sicuramente un franchise molto complesso su cui lavorare, sia per l'ego degli attori originali, che hanno bloccato un eventuale sequel per anni, ma soprattutto per una fanbase fin troppo agguerrita e pronta a protestare ai quattro venti che "la loro infanzia è stata rovinata" [Nota: personalmente la ritengo una delle frasi più stupide ed ipocrite sui social]. Dopo il mezzo disastro del reboot diretto da Paul Feig, - il cui problema non era certo il cast al femminile, ma una sceneggiatura alquanto stupida che non faceva affatto ridere sfruttando male il talento comico delle protagoniste -  Jason Reitman (ovviamente figlio di Ivan, il regista dei due film originali che ci ha lasciato qualche mese fa) era riuscito, con Ghostbuster Legacy a compiere il miracolo. La pellicola riusciva infatti a introdurre brillantemente una nuova generazione di acchiappafantasmi legandola con intelligenza alla dilogia originale con tanti piccoli easter egg disseminati, relegando il fan service nel finale, un vero e proprio tripudio emozionale (complice l'inevitabile tributo ad Harold Ramis) per i tanti spettatori affezionati alla saga. Insomma, una pellicola ben costruita, che sicuramente non osava troppo (molti snodi della trama provenivano direttamente dal primo film), ma che era riuscita ad accontentare tutti. 
Con il sequel Ghostbusters - Minaccia Glaciale Jason Reitman ha lasciato le redini della regia al co-sceneggiatore Gil Kenan e il risultato è stato purtroppo deludente (non per colpa del nuovo regista, giusto per correttezza). Se la pellicola originale riusciva incredibilmente ad avere un buon bilanciamento e a presentare in modo efficace un nuovo cast, questo sequel finisce invece per farsi inglobare dal fan service e dal desiderio di tributare un omaggio ad Ivan Reitman e al primo Ghostbusters. Così la narrazione si sposta a New York nella celeberrima caserma dei pompieri e ogni scena è una scusa per piazzare dentro omaggi, easter egg e rimandi al passato (sì, c'è anche la libreria e il primo, indimenticabile, fantasma della saga, oltre ovviamente a Slimer), così tanto da prendere spesso possesso della narrazione.
Aggiungendo a questo il fatto che la pellicola ha un numero davvero esagerato di comprimari, è estremamente votata a seguire la sua trama (peraltro l'ennesima variazione sul tema della trama del primo film) e che la tremenda logorrea di Dan Aykroyd fagocita più di una scena, e otteniamo un film dove i supposti protagonisti (la famiglia Spengler) praticamente scompaiono in più punti dalla narrazione. Anche gli story arc dei protagonisti sono così semplici e basilari da sembrare quasi provenienti da una sit-com anni '90 piuttosto che da una pellicola moderna. Ultimo problema, la gestione dell'umorismo: Ghostbusters - Minaccia Glaciale è un'opera che non fa quasi mai ridere, non sfrutta minimamente il talento comico di Paul Rudd (uno dei punti di forza di di Legacy, invece), si affida alla stancante logorrea di Dan Aykroyd con scarsi risultati e brilla soltanto quando spunta in scena il mitico Bill Murray, uno che non sbaglia i tempi comici delle battute neanche sotto tortura. 
Siamo quindi di fronte a un disastro? No, perché comunque la trama è ben sviluppata, l'azione è più che competente (si veda la primissima scena, per esempio) e la mano di Gil Kenan alla regia comunque buona. Ghostbusters - Minaccia Glaciale è semplicemente un film un po' vacuo, che non sfrutta appieno i semi gettati in Legacy e che è affossato dalla volontà di rendere costantemente omaggio al primo film e da un numero esagerato di comprimari. Visti i risultati non esaltanti al botteghino, non mi stupirei se il franchise dei Ghostbusters su grande schermo [su piccolo schermo è invece già stata annunciata una nuova serie animata targata Netflix] tornasse sotto naftalina per qualche altro lustro.

Ghostbusters - Minaccia Glaciale è disponibile per il noleggio e acquisto in digitale presso i principali store VOD e sarà disponibile per l'acquisto fisico presso i maggiori store online da inizio luglio. Non è al momento disponibile su nessuna piattaforma streaming.

Una scena tratta dalla serie TV Eric su Netflix

Eric (Serie TV) - Reccensione

New York anni '80. Dopo l'ennesima lite tra i genitori Vincent (burattinaio presso una trasmissione simile ai Muppets, interpretato da Benedict Cumberbatch) e Cassie (interpretata da Gaby Hoffman), il piccolo Edgar esce da casa da solo per andare a scuola e scompare nel nulla. Mentre del caso si occupa l'integerrimo detective Michael Ledroit (interpretato da McKinley Belcher III), Vincent, con un passato di instabilità psichica e di abusi di sostanze alle spalle, si convince che solo realizzando il burattino creato da Edgar, un mostro di nome Eric, riuscirà a convincere il figlio a tornare a casa. Peccato che il mostro inizi ad apparirgli veramente come conseguenza della propria psicosi... 
La serie Eric (creata dalla britannica Abi Morgan) aveva sicuramente molte potenzialità: un fuoriclasse della recitazione come Benedict Cumberbatch, un'ambientazione accattivante come la New York anni '80, una trama sulla carta intrigante, e temi non banali come la proliferazione del virus dell'AIDS e la gentrificazione. Purtroppo la serie vuole essere troppe cose contemporaneamente: un dramma familiare sulla disgregazione di un matrimonio; un classico racconto di caduta agli inferi e redenzione con spunti visionari; un procedurale sulla corruzione della classe dirigente newyorkese; un thriller sulla scomparsa di un ragazzino; una storia corale dove tante microstorie fanno parte di un mosaico più grosso.
Così Eric finisce presto fuori giri, con una narrazione troppo densa, in cui nessuno degli aspetti è sviluppato pienamente e senza una direzione precisa. In tutto questo, la serie compie il peggiore dei crimini, non sfruttare bene il talento di Benedict Cumberbatch, alle prese con un personaggio respingente e troppo estremo. Anzi, a ben vedere, tolto il detective Michael Ledroit e la sua segretaria, gran parte dei personaggi (e sono tanti) che appaiono nella serie sono in qualche modo deprecabili e ben poco accomodanti, come sempre più spesso accade nelle produzioni moderne. A questo si aggiunge un altro difetto tipico delle produzioni degli ultimi anni, quello della sceneggiatura che nasconde arbitrariamente informazioni, per poi tirarle fuori solo quando serve a fare progredire la trama [ad esempio quando uno dei personaggi è arrestato come sospettato in base a un filmato e solo dopo l'umiliazione di una nottata in cella, casualmente si scopre che c'è un altro filmato che lo scagiona]: una pigrizia narrativa che trovo francamente poco rispettosa verso lo spettatore. Ultimo chiodo sulla bara (e mio particolare cruccio), la rappresentazione della malattia mentale: il protagonista Vincent è chiaramente schizofrenico, ma la condizione è rappresentata in modo tipicamente cinematografico e sopra le righe.
Insomma, nonostante un buon potenziale, un buon cast e un'ambientazione realmente affascinante (e, a essere onesti, la New York degli eighties è ricreata molto bene), Eric si è rivelata una produzione pigra, confusionaria e a tratti fastidiosa, che finisce affossata dai propri difetti e dal tentativo di volere fare troppe cose contemporaneamente; purtroppo tutte realizzate maluccio.

Eric è una serie tv trasmessa in esclusiva in streaming su Netflix.

La copertina del disco Invincible Shield dei Judas Priest

Judas Priest - Invincible Shield - Recensione

Devo essere sincero: avevo dato per praticamente finita, creativamente parlando, la carriera discografica degli amatissimi Judas Priest dopo Nostradamus: il polemico abbandono di K.K. Downing e la rivelazione che Glenn Tipton era affetto dal morbo di Parkinson rappresentavano davvero la fine di un'era. Sia chiaro, il problema non era certo il sostituto di K.K., il "giovinetto" Richie Faulkner, che invece ha da subito dimostrato non solo professionalità e ottime doti tecniche, ma soprattutto energia, convinzione e un'apprezzabilissima dose di genuinissimo entusiasmo, che l'ha fatto divenire presto un beniamino dei fan. Il problema è rappresentato dal fatto che, dopo il "finto" tour di addio, credevo che l'unica vera volontà della mitica band inglese fosse quella di continuare con l'attività dal vivo, sfornando nuovi album per puro dovere contrattuale.
Un'impressione purtroppo pienamente confermata da Redeemer of Soul, una stanca e poco convinta riproposizione degli stilemi tipici della band senza il minimo guizzo vitale. Le cose sono poi andate leggermente meglio con Firepower del 2018 [per onestà intellettuale, va detto il disco è stato invece molto apprezzato dai fan], dove si avverte una maggiore energia e convinzione, ma con canzoni troppo scontate, che non hanno lasciato il segno nel lungo periodo.
Cinque anni dopo (con un lunghissimo tour alle spalle e con Richie Faulkner che è sopravvissuto per puro miracolo a una dissezione aortica nel bel mezzo di un concerto negli States) ecco arrivare Invincible Shield, un lavoro che si è rivelato una graditissima sorpresa: chiariamo subito, attendersi dopo 50 anni di carriera innovazioni nel sound e sperimentazioni non aveva assolutamente senso, ma questo disco svetta nettamente sui due precedenti grazie a una convinzione nettamente maggiore da parte dei Priest. Il songwriting, pur girando sempre in territori noti e stranoti, evita comunque il costante effetto deja vu ed è invece molto compatto e, nei limiti del possibile, vario, con in più alcuni azzeccati omaggi (soprattutto ai Black Sabbath). Ma soprattutto c'è un'energia rinnovata che si avverte nelle tracce di Invincible Shield e che rende l'ascolto alquanto piacevole ed esaltante. E poi c'è lui, il metal god Rob Halford, che a 70 anni è ancora un elemento imprescindibile della musica dei Judas Priest: la sua voce fisiologicamente non può certo più essere come dieci lustri fa, ma il carisma e la capacità di interpretare i brani in modo unico è rimasta intatta e rappresenta ancora il valore aggiunto della band (si sentano per esempio le ottime "Devil in Disguise" e il singolo "The Serpent and the King"). Per contro, il disco sembra soffrire un calo nella seconda metà, che risulta meno a fuoco rispetto ai primi 6 brani.
In definitiva, Invincible Shield rappresenta un inatteso ritorno a standard di qualità che non toccavano da molto tempo a questa parte: da una band sulla cresta dell'onda da 50 anni e ormai prossima a una meritatissima pensione, non ci si poteva davvero aspettare nulla di meglio. Immortali!

Invincible Shield è disponibile in formato digitale e fisico su tutti i maggiori store online. Il disco è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming. Per maggiori informazioni, visitate la Pagina LinkTree della band o il loro Sito Ufficiale.

La copertina dell'album The Mandrake Project di Bruce Dickinson

Bruce Dickinson - The Mandrake Project - Recensione

Sono passati ben 19 anni dall'uscita di Tiranny of Souls, ultima (e ottima) fatica discografica solista del mitico Bruce Dickinson, un'attesa decisamente lunga, dovuta ai moltissimi impegni del cantante con gli Iron Maiden, al cancro alla lingua che l'ha tenuto a lungo lontano dalle scene lo ha costretto a una rieducazione della sua voce e, infine, alla pandemia. Ma Bruce non ha mai smesso di scrivere nuova musica nell'arco di questi 4 lustri e, una volta avuta l'opportunità di godersi qualche mese di pausa dalla frenetica attività dei Maiden, ha potuto finalmente mettere insieme tutto il materiale insieme al fido Roy Z. e dare alle stampe il suo settimo album solista, The Mandrake Project, una specie di concept legato a una graphic novel (scritta dallo stesso Dickinson) in corso di pubblicazione. Sarà stata ripagata un'attesa così lunga, contando anche la grande qualità dei tre precedenti dischi (in particolare del capolavoro The Chemical Wedding)? La risposta è, purtroppo, negativa.
Innanzitutto il songwriting non è certo ispirato come nei tre lavori precedenti e il disco sembra appiattito verso una certa mediocrità. Ci sono brani mediamente discreti, ma pochi che svettino particolarmente o che rimangano impressi dopo i primi ascolti, forse giusto la esaltante "Mistress of Mercy" e l'evocativa "Shadow of the Gods". In più l'album è fin troppo eterogeneo, cosa peraltro giustificata dalla lunghissima genesi, ma che rende il sound poco compatto, ancora di più pensando che dovremmo trovarci di fronte a una specie di concept. Ultimo, e sostanzialmente davvero inaspettato problema, le linee vocali: sarà perché le canzoni sono state scritte in parte prima della grave malattia di Bruce o sarà forse la volontà di uscire un po' dai tipici schemi vocali dei Maiden, ma spesso le linee vocali e, di conseguenza, le melodie dei ritornelli non funzionano bene; buoni esempi sono la poco azzeccata "Resurrection Man", il non convincentissimo mood teatrale di "Rain on the Graves" o il modo in cui è interpretata la ballata "Face in the Mirror". 
Detto questo, con The Mandrake Project non siamo di fronte a un totale disastro, ma piuttosto a un disco caratterizzato da alti e bassi, che, a livello qualitativo, si colloca più vicino alla prima parte della carriera solista (il trittico Tattoed Millionaire, Balls to Picasso e Skunkworks) piuttosto che alla memorabile seconda. Diciamo che dopo ben 19 anni di attesa, probabilmente era lecito aspettarsi qualcosina di più da uno dei cantanti e delle personalità più importanti della storia del metal.

The Mandrake Project è disponibile in formato digitale e fisico su tutti i maggiori store online. Il disco è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming. Per maggiori informazioni, visitate il Sito Ufficiale dedicato all'album.

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