Il Calderone Vol. 2 (Mini Recensioni) : Damsel (Film), Dungeon Food (Anime), Ghiblioteca (Libro), Svalbard (Heavy Metal)

 

La nuova rubrica di mini recensioni - immagine presa dal videogioco Cauldron per C64

Nota: Questo articolo potrebbe contenere alcuni SPOILER minori sul film Damselsulla serie animata Dungeon Food, entrambe disponibili su Netflix. Grazie.

Torniamo con la rubrica minestrone (anzi, pentolone) con 4 nuove mini-recensioni che spaziano tra film fantasy (Damsel, disponibile da qualche mese su Netflix), un anime fantasy a tema culinario (Dungeon Food, anch'esso disponibile su Netflix), il libro Ghiblioteca, un saggio dal taglio moderno che ripercorre l'intera produzione cinematografica dello Studio Ghibli, e infine l'ultimo album della band post-metal britannica Svalbard, intitolato The Weight of the Mask. Let's go!

Damsel (Film) - Recensione

Elodie, giudiziosa principessa del regno di Inophe, un paese purtroppo afflitto da una grave carestia, accetta il matrimonio combinato con il principe del ricco regno di Aurea, in modo da potere migliorare le condizioni di vita della sue gente. Elodie però non immagina che il matrimonio sia solo di facciata e che lei è destinata a divenire la vittima sacrificale di un drago che infesta Aurea da decenni. Sola, ferita, sperduta in buie caverne e braccata dal potentissimo drago, Elodie dovrà trovare in sé le forze per sopravvivere e scampare alla spaventosa creatura.

È noto che, per realizzare un buon film di genere, l'originalità non è certo un fattore determinante [e, come si evince dalla sinossi, la trama del film è un minestrone di cose già abbandonatamente viste] , ma la personalità assolutamente sì. Purtroppo, ciò che manca totalmente a Damsel è proprio la personalità. Siamo di fronte a un film tremendamente generico in tutte le sue parti: la trama è banalissima e scontata [francamente, le svolte sono talmente telefonate che avrei potuto tranquillamente spoilerare l'intero film nella sinossi senza causare grossi patemi]; le scenografie (tutte palesemente finte e digitali) la perfetta via di mezzo tra i paesaggi bucolici della trilogia de Il Signore degli Anelli e quelli più selvaggi di Game of Thrones; il drago sembra clonato sempre da quelli di Game of Thrones, con però la caratterizzazione beffarda dello Smaug de Lo Hobbit; la regia (opera dell'esperto Juan Carlos Fresnadillo) competente, ma assolutamente asettica e scolastica; infine, anche i messaggi legati all'empowerment femminista e all'ambientalismo sono quanto di più generico e basilare si possa trovare in giro, il modo peggiore per banalizzarli.

In mezzo a tutto questo, anche la simpatica Millie Bobby Brown, al primo ruolo da protagonista assoluta di una pellicola d'azione, va palesemente fuori giri: nonostante un buon carisma e il fisico giusto per il ruolo, l'attrice dimostra una certa mancanza di esperienza nelle scene più tirate e nel reggere da sola la scena, soprattutto quando non è minimamente aiutata da una sceneggiatura alquanto piatta. Nonostante alcune scelte potenzialmente interessanti (come l'idea delle vecchie vittime del drago che aiutano in qualche modo Elodie in modo  tutto sommato simile a quanto visto nell'ottimo Black Phone) e un regista con un buona attitudine per le scene di tensione e di orrore, Damsel si perde in un mare totale di mediocrità. Non un film bruttissimo o inguardabile, semplicemente qualcosa di banale, scontato e realizzato senza prendersi il minimo rischio. La vittoria dell'algoritmo, insomma. Un ultimo commento: guardando Damsel, riesco a comprendere bene perché, durante il lungo sciopero degli sceneggiatori dello scorso anno, uno dei punti fondamentali fosse la creazione di un regolamentazione per l'utilizzo della AI: nonostante la pellicola sia stata scritta da una persona reale, non credo che se avessi chiesto a ChatGPT o Copilot di scrivere la sinossi per un film "fantasy con interprete giovane e popolare contro un drago cattivo, con un apprezzabile messaggio di empowerment femminista", avrei ottenuto qualcosa di molto differente.

Damsel è una pellicola trasmessa in esclusiva in streaming su Netflix.

L'immagine promozionale della serie anime Dungeon Foodo

Dungeon Food (Serie Anime) - Recensione

A seguito dell'esplosione di popolarità di manga e anime in occidente, era abbastanza ovvio che gli anime sarebbero diventati una parte molto importante del catalogo delle varie piattaforme di streaming, che si sono poi gettate a capofitto alla ricerca di prodotti che potessero attirare un pubblico relativamente giovane. Detto questo, sono rimasto alquanto stupito della scelta da parte di Netflix di accaparrarsi i diritti di Dungeon Food, un'opera alquanto peculiare (ancora in corso di pubblicazione, un episodio a settimana).

Il gruppo di avventurieri capitanato dal guerriero Laios e dalla potente maga Falin (fratello e sorella) viene annichilito dopo lo scontro con un potentissimo drago rosso: prima di venire inghiottita da drago stesso, Falin, con le sue ultime forze, riesce a curare e resuscitare i compagni di viaggio. Una volta tornati in superficie, Laios deciderà di tornare nelle profondità del dungeon maledetto per salvare l'anima della sorella per tentare di resuscitarla con la magia. Una missione mortale e difficilissima, ma il gruppo troverà un nuovo inaspettato membro: il nano Senshi, un espertissimo cuoco, che sarà fondamentale per la riuscita della missione. Perché, con lo stomaco vuoto, non si possono certo sconfiggere i mostri!

Di base l'anime (adattamento dell'omonimo manga) è un classico fantasy-dungeon crawler, quel tipo di opere che riprende le dinamiche tipiche da giochi di ruolo fisici e della loro controparte videoludica, con un party di avventurieri di razze differenti, ognuno con una propria specialità, che deve avanzare in un lungo dungeon caratterizzato da livelli abitati da mostri sempre più forti e pericolosi.
A rendere Dungeon Food qualcosa di unico (e piuttosto strambo) è l'ibridazione con un genere di manga-anime completamente differente, quello che basa tutto sul cibo, sulla gioia della preparazione e sulla perfezione estetica dei piatti. Come possono due mondi quasi opposti coesistere? Semplice: gli ingredienti dei succulenti piatti provengono direttamente dai mostri uccisi durante l'esplorazione del dungeon!

Partendo da un'idea così assurda e bislacca, sarebbe facile etichettare questo anime come l'ennesima follia made in Japan riservata solamente a un pubblico di appassionati. In realtà Dungeon Food  si è rivelata essere una graditissima sorpresa, con i due generi che riescono invece a funzionare benissimo: le parti di azione (molto tese e tirate) sono perfettamente bilanciate da quelle a tema culinario, donando all'opera un ritmo molto più rilassato di quanto ci si aspetterebbe e dando così spazio ai personaggi che, dai semplici stereotipi iniziali, diventano puntata dopo puntata sempre più tridimensionali, mantenendo comunque caratteristiche molto immediate. Insomma, Dungeon Food è uno degli anime più piacevoli visti negli ultimi anni, forte anche di una trama che riesce a catturare lo spettatore, una sceneggiatura ben calibrata tra momenti più drammatici e momenti più umoristici, una realizzazione tecnica e artistica di alto livello (opera dell'esperto Studio Trigger) e un utilizzo del fan service molto limitato. Chi l'avrebbe mai detto che la frittata di un uovo di arpia potesse essere così gustosa!

Dungeon Food è una serie anime trasmessa in esclusiva in streaming su Netflix.

Un particolare della copertina del volume Ghiblioteca, edito da Magazzini Salani

Ghiblioteca (Saggio) - Recensione

Attirato dalla copertina con protagonista (ovviamente) il mitico Totoro, e dopo averlo sfogliato in libreria avendo constatato l'ottima cura di impaginazione e layout, ho deciso di fare un acquisto compulsivo e comprarmi Ghiblioteca, un saggio (non ufficiale) dedicato a tutte le produzioni del più importante studio di animazione giapponese, lo Studio Ghibli, e realizzato dai blogger inglesi Michael Leader  e Jake Cunningham, realizzatori del Podcast che porta lo stesso nome del libro e ovviamente grandi conoscitori dell'argomento.
Diciamolo subito: se cercate un'opera che parli approfonditamente della storia dello studio o che fornisca un apparato critico rigoroso sui film animati, in giro potrete trovare sicuramente opere più specializzate sia in formato libro che in formato documentario. Se invece cercate un'opera dal taglio moderno che fornisca una panoramica veloce, ma comunque completa, delle produzioni dello studio, con layout accattivante e pieno di belle immagini, allora Ghiblioteca fa per voi.

Il libro è strutturato come una serie di schede, una per ognuno dei film Ghibli (tranne l'ultimissimo Il Ragazzo e l'Airone, ancora in lavorazione quando è stato scritto il saggio) a cui si aggiunge il poco conosciuto La Tartaruga Rossa, pellicola animata belga, ma sovvenzionata dallo studio di Miyazaki.
Il taglio è molto moderno e tradisce le origini da blogger degli autori: per ognuno dei film animati c'è un'introduzione (scritta da Michael Leader) che parla della nascita e della lavorazione della pellicola e una veloce recensione (scritta da Jake Cunningham) che ne analizza i tratti salienti, il tutto condito da una serie di immagini di ottima qualità, inclusi i poster originali e internazionali. Questa struttura rende Ghiblioteca un saggio molto snello e scorrevole, che, per fortuna, evita l'effetto didascalico, aggiungendo particolari poco conosciuti, curiosità e punti di vista non banali (soprattutto quando parla della dicotomia fondamentale alla base dello studio, quella tra i due fondatori Hayao Miyazaki e Isao Takahata). Per contro, si ha la sensazione che alcune delle recensioni siano tirate un po' via o che siano forse troppo indulgenti, soprattutto per le opere più controverse o meno riuscite dello studio. 
Come detto, un applauso va al layout molto curato e moderno, con l'utilizzo azzeccato di doppie splash page per alcune delle scene più iconiche e spettacolari. Il vero difetto del volume cartonato sta in alcune scelte editoriali compiute dalla casa editrice Salani: l'avere optato per un formato relativamente piccolo (19.4 x 24.5 cm) mantenendo (giustamente) lo stesso layout della versione originale, ha comportato l'utilizzo di un font realmente minuscolo, che può rendere difficoltosa la lettura, soprattutto per un pubblico più [ehm] scafato. A questo si aggiunge la scelta di una carta che non fa risaltare al meglio i colori delle splendide immagini.
In conclusione, Ghiblioteca è un buon saggio dal taglio moderno e sicuramente pensato per un pubblico avvezzo a blog e podcast. Un bel volume da leggere, sfogliare e sfoggiare nelle proprie librerie, insomma. Per contro, la lettura potrebbe risultare un po' vacua per chi cerca nozioni più approfondite o un apparato critico più sviluppato riguardo ai capolavori dello studio Ghibli.
[Nota: Per gli stessi autori sono usciti Animeteca- sempre per Salani - una guida ai 30 anime più significativi e Il Mondo dello Studio Ghibli - edito da Nord Sud - un colorato volume dedicato ai lettori più giovani con schede e infografiche dedicate ai personaggi più conosciuti dello Studio]

Ghiblioteca è disponibile come volume su tutti i principali store di libri online, oltre che ovviamente nelle librerie di varia

La copertina del disco The weight of the mask dei britannici Svalbard

Svalbard - The Weight of the Mask - Recensione

"The Weight of the Mask", quarto album degli Svalbard [da non confondere con l'omonima band black metal], rappresenta un passo importante per la band britannica, in quanto sono approdati sull'importante etichetta tedesca Nuclear Blast, praticamente una piccola major. Stilisticamente gli Svalbard hanno tutto per potere diventare una delle mie formazioni preferite: un sound post-metal che mischia abilmente melodie malinconiche, momenti progressivi ed accelerazioni che strizzano l'occhio ora all'hardcore (mondo da cui proviene la formazione), ora al black metal, il tutto condito da un buon utilizzo dei due cantanti, Serena Cherry e Liam Phelan. Nei primi tre dischi precedenti, invece, è sempre mancato qualcosa in termini di songwriting e personalità agli Svalbard per andare oltre lo status di band promettente. 
"The Weight of the Mask" rappresenta indubbiamente un passo in avanti per gli Svalbard: le composizioni si fanno molto dirette e serrate, l'album è molto scorrevole e immediato (soprattutto quando echi del passato hardcore si fanno più presenti) e non ci sono grossi passi falsi. Per contro, a volte la band britannica sembra appiattirsi troppo su soluzioni già troppo utilizzate; il disco inoltre appare fin troppo omogeneo e, soprattutto nei primi ascolti, si arriva al termine dei 45 minuti di durata senza quasi accorgersene, con la musica che finisce quasi come sottofondo, il che non è mai una buona cosa. Detto questo, è apprezzabile la maggiore maturità mostrata dal quartetto britannico, soprattutto quando riescono a variare efficacemente dal canovaccio, magari con qualche inserto di voce pulita. A svettare in una scaletta come detto molto compatta, sono l'esaltante "Defiance", forse il brano più strutturato dal punto di vista delle melodie vocali e "Be My Tomb", la canzone caratterizzata dalle melodie più accattivanti in assoluto. 
In conclusione, dovremo probabilmente aspettare ancora qualche anno per il salto di qualità definitivo, ma "The Weight of the Mask" è sicuramente un ascolto alquanto piacevole, per quanto a volte un pelino troppo derivativo. Comunque promossi, in attesa di poterli vedere di spalla ai maestri della scena blackgaze, i francesi Alcest.

The Weight of the Mask è disponibile in formato digitale e fisico sul sito ufficiale dell'etichetta Nuclear Blast. E' inoltre disponibile in formato fisico e digitale su tutti i maggiori store online. Il disco è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming, oltre che sulla Pagina Bandcamp della band. Per maggiori informazioni, visitate la Pagina LinkTree della band.



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