In occasione dell'uscita di Fall, dodicesimo album in studio dei norvegesi Borknagar, ho deciso di dedicare un articolo a una delle mie band preferite. Conosciuti 25 anni fa grazie ad un sampler allegato a una rivista (la canzone era "Ad Noctum", tratta da The Archaic Curse, e la rivista la mitica Psycho!), è stato un amore a prima vista con una band che ha saputo evolversi, cambiare volto molte volte, rimanendo sempre però riconoscibilissima con il proprio stile che mischia viking metal, progressive metal, avantgarde metal e inserti folk, con testi dedicati alla potenza e alla maestosità della Natura.
Invece di realizzare una classica retrospettiva album per album, ho pensato di prendere in prestito un'idea dai ragazzi di Metalitalia [che, ribadisco, ritengo essere la migliore webzine dedicata alla musica pesante in Italia], ovvero scegliere le due canzoni che ritengo maggiormente rappresentative per ognuno dei 12 album, che comunque descrivo brevemente.
Ho anche creato una playlist dedicata su Spotify, che potete ascoltare sia interagendo con i player integrato qui sopra che cliccando su questo Link. Per chi non disponesse di un account con la piattaforma musicale, ho provveduto a rendere cliccabili i titoli delle canzoni presenti nella retrospettiva in modo che siano collegati direttamente al pezzo su YouTube.
Invece di realizzare una classica retrospettiva album per album, ho pensato di prendere in prestito un'idea dai ragazzi di Metalitalia [che, ribadisco, ritengo essere la migliore webzine dedicata alla musica pesante in Italia], ovvero scegliere le due canzoni che ritengo maggiormente rappresentative per ognuno dei 12 album, che comunque descrivo brevemente.
Ho anche creato una playlist dedicata su Spotify, che potete ascoltare sia interagendo con i player integrato qui sopra che cliccando su questo Link. Per chi non disponesse di un account con la piattaforma musicale, ho provveduto a rendere cliccabili i titoli delle canzoni presenti nella retrospettiva in modo che siano collegati direttamente al pezzo su YouTube.
Borknagar (1996)
Nati nel 1995 per volontà del chitarrista Øystein G. Brun, i norvegesi Borknagar si presentano come una sorta di supergruppo della scena primigenia black norvegese, contando nelle sue fila il batterista Grim (Immortal), il bassista Infernus (Gorgoroth), il tastierista Ivar Bjørnson (fondatore degli Enslaved, dove suona però la chitarra) e il cantante Krystoffer Rygg (noto anche come Garm), che aveva appena debuttato con le sue altre due band, Ulver e Arcturus, facendo già molto parlare di sé.
Il sound dell'album (l'unico della discografia cantato in norvegese) è ancora lontano da quello che sarebbe divenuto lo stile dei Borknagar e risiede in un viking metal molto immediato, tirato e potente (con la tipica produzione lo-fi di quegli anni), che si rifà abbastanza al sound del disco Frost degli Enslaved, a cui però già si aggiungono alcuni spunti più melodici e legati al folk, con l'utilizzo di inserti di cantato pulito.
Il sound dell'album (l'unico della discografia cantato in norvegese) è ancora lontano da quello che sarebbe divenuto lo stile dei Borknagar e risiede in un viking metal molto immediato, tirato e potente (con la tipica produzione lo-fi di quegli anni), che si rifà abbastanza al sound del disco Frost degli Enslaved, a cui però già si aggiungono alcuni spunti più melodici e legati al folk, con l'utilizzo di inserti di cantato pulito.
In un album come detto piuttosto diretto e lineare, "Dauden" rappresenta una gradita eccezione: un brano indubbiamente tirato, ma che presenta molte variazioni di tempo con un evocativo break centrale e dove fa capolino più volte il cantato evocativo e pulito di Garm (in realtà forse ancora troppo impostato e teatrale). Il seme della futura evoluzione del sound della band è già tutto qui e non è un caso se questa canzone ogni tanto ritorni nelle scalette dei concerti dei Borknagar.
Il secondo estratto dall'album è la sua traccia conclusiva, sicuramente meno elaborata e memorabile di "Dauden", e più votata alla pura potenza con le ritmiche dominate dal blast beat, ma che presenta elementi del riffing e delle melodie della chitarra di Øystein G. Brun che diventeranno il marchio di fabbrica della formazione norvegese. Un brano molto radicato nel sound dell'epoca, ma comunque più che discreto.
The Olden Domain (1997)
Passa solo un anno, ma con The Olden Domain, i Borknagar (che nel frattempo hanno cambiato il solo bassista) mostrano subito un'importantissima evoluzione. Il viking/black metal del debutto, pur presente formalmente in alcune sezioni dell'album (con screaming vocals, blast beat e tremolo pick), lascia spazio a un sound che vira verso territori più legati al progressive metal con elementi folk e con un certo gusto per le atmosfere solenni che simboleggiano la maestosità della Natura selvaggia. Un album ancora acerbo, ma con alcuni pezzi davvero degni di nota.
[Nota di colore: Krystoffer Rygg è accreditato come Fiery G. Maelstrom, soprannome che verrà preso bonariamente in giro dal cantante e bassista Simen Hestnæs, che da quel momento si sarebbe fatto chiamare I.C.S. Vortex e che sarebbe diventato un tassello molto importante della storia dei Borknagar]
[Nota di colore: Krystoffer Rygg è accreditato come Fiery G. Maelstrom, soprannome che verrà preso bonariamente in giro dal cantante e bassista Simen Hestnæs, che da quel momento si sarebbe fatto chiamare I.C.S. Vortex e che sarebbe diventato un tassello molto importante della storia dei Borknagar]
L'opener "The Eye of Odin" è già un buon manifesto dell'evoluzione sonora della band, con un sound che presenta tante variazioni, tra momenti più tirati e momenti più ragionati, con la voce di Rygg sugli scudi, seppure ancora ben distante dal grandissimo cantante che sarebbe divenuto con gli Ulver. Anche le melodie appaiono più ricercate e complesse, tese a creare un'atmosfera più coinvolgente ed epica.
Il secondo estratto da The Olden Domain non poteva che essere "The Dawn of the End", il primo brano veramente memorabile partorito dai Borknagar, ancora oggi sempre presente nelle scalette live. Il motivo è semplice da capire: dopo una piccola sfuriata iniziale, la canzone si avventura su territori più evocativi e progressivi, con le tastiere decisamente in primo piano e con una riuscitissima alternanza tra cantato screaming e cantato pulito. Dopo un efficace break centrale, protagonista assoluto diventa Krystoffer Rygg con una splendida ed epica coda finale.
The Archaic Curse (1998)
Dopo l'uscita di The Olden Domain, Krystoffer Rygg decide di lasciare amichevolmente la band per concentrarsi sui suoi due progetti principali (i già citati Ulver e Arcturus): sarà lui a consigliare a Øystein G. Brun di reclutare Simen Hestnæs (meglio conosciuto come I.C.S. Vortex) come suo sostituto e la scelta si rivelerà alquanto azzeccata. Il timbro di Vortex è potente ed epico (anche se un po' monocorde sulle parti screaming) e si adatta alla perfezione alla sound che contraddistingue The Archaic Curse: le composizioni si fanno infatti più melodiche, concise e lineari e la parti più tipicamente aggressive, comunque sempre presenti, diventano solo uno degli elementi del sound dei Borknagar. In particolare, a risaltare è il lato più epico ed evocativo, che sfrutta molto bene le capacità di Vortex.
Il biglietto da visita dell'evoluzione del sound dei Borknagar è "Oceans Rise": dopo un inizio dominato da doppia cassa e cantato screaming, e un riuscito break acustico, ecco che entra potentissima la voce di Vortex in un ritornello epico ed esaltante che si stampa immediatamente in testa e che mostra quanto sia stata azzeccata la scelta del nuovo cantante. Interessante anche la coda finale, dove si avverte il lato più malinconico del sound della band norvegese, che riaffiorerà spesso nella loro storia.
Un brano epico fino al midollo, una travolgente cavalcata che ci illustra la maestosità della Natura, sottolineata da una prestazione incredibile di Vortex. La traccia che mi ha fatto innamorare della musica dei Borknagar e, ancora oggi, una delle mie canzoni preferite in assoluto.
Quintessence (2000)
Con Quintessence, i Borknagar si presentano con una formazione ampiamente rinnovata. In particolare si segnala l'arrivo del chitarrista ritmico Jens Ryland (che rimarrà con la band a lungo), del talentuoso batterista Asgeir Mickelson (in sostituzione di Grim, purtroppo deceduto in seguito a un'overdose) e, soprattutto del tastierista Lars A. Nedland (in arte Lazare), la cui presenza sarà fondamentale a definire ulteriormente il sound dei Borknagar e che diventerà uno dei punti fermi della formazione norvegesi (più avanti anche come secondo cantante). Descrivere il sound di Quintessence non è semplicissimo, dal momento che si tratta di un lavoro dove il lato più epico e folk lascia lo spazio a sonorità più fredde e futuristiche (soprattutto nelle parti cantate in streaming) e dove si avverte chiaramente il gusto melodico di Lazare, con un maggiore utilizzo di orchestrazioni. Il risultato è inizialmente un po' straniante (complice anche una produzione non impeccabile), ma la qualità delle canzoni è tale da portare ampiamente a casa il risultato, grazie anche a un songwriting generalmente più diretto e immediato.
Uno dei grandi classici della band e uno dei pochi brani scritti da Vortex (il 90% della discografia della band è stato infatti composto da Øystein G. Brun), bravo ad esaltare al massimo le proprie doti vocali. Una canzone diretta, immediata, epicissima, potente ed esaltante con una struttura in un continuo crescendo, con la voce di Vortex e la chitarra di Brun che si rincorrono in continuazione. Finale letteralmente da brividi.
Devo ammettere di avere avuto parecchi problemi a selezionare il secondo brano ("Colossus" era una scelta pressoché obbligata). In ballottaggio c'erano "Ruins of the Future" caratterizzata dalla tipica contrapposizione tra strofe molto aggressive e l'ottimo ritornello melodico e la particolare "The Presence is Ominous", un'epica cavalcata dove Vortex sperimenta con sovra registrazioni e un utilizzo bislacco del falsetto. A vincere, alla fine, è "Revolt", un pezzo dominato da atmosfere malinconiche, che gioca con la struttura, invertendo l'ordine di ritornello e strofa, una scelta che vedremo riapparire con regolarità nella discografia dei Borknagar.
Empiricism (2001)
L'opener del disco mette subito le cose in chiaro con blast beat furioso, gli ottimi screaming vocals e le tastiere di Lazare in primo piano, quasi a coprire le chitarre e un sound molto ricco, pieno di tantissime micro variazioni. In particolare, ho sempre apprezzato moltissimo la struttura particolare della traccia con due ritornelli differenti e la posizione particolare delle strofe. Un esordio davvero convincente per Vintersorg.
Un brano molto progressivo e principalmente strumentale, giocato su atmosfere più folkeggianti e tempi più dilatati, dove ognuno degli strumenti trova il suo giusto spazio (all'inizio a dominare è la tastiera, poi nella sezione centrale le chitarre e infine la sezione ritmica). Molto bella ed evocativa la coda finale che mette in mostra le capacità melodiche di Vintersorg.
Epic (2004)
Nonostante le prospettive per i Borknagar fossero molto buone dopo Empiricism, la formazione norvegese si ritrovò presto per le mani ulteriori problemi. La distanza geografica con Vintersorg (che risiede in Svezia) cominciò a essere un problema, così come la sua ritrosia a suonare dal vivo, che rese per anni i Borknagar un gruppo prevalentemente da studio. A questo si aggiunse il temporaneo addio del bassista Tyr e del chitarrista ritmico Jens Ryland, con Vintersorg e Asgeir Mickelson costretti a sostituirli durante le registrazioni. Ne esce un disco che continua la ricerca progressiva iniziata nel lavoro precedente, con le canzoni che diventano sempre più complesse e senza una struttura fissa: mancano infatti quasi completamente ritornelli o parti melodiche più immediate, fattore che rende il disco alquanto ermetico e respingente anche a vent'anni di distanza. Non aiuta a migliorare le cose una produzione tutt'altro che efficace, con le tastiere che coprono gli altri strumenti e la voce di Vintersorg sempre in secondo piano, fattore che penalizza enormemente il bravo cantante svedese.
Un brano che è un buon manifesto della "nuova" direzione musicale intrapresa della band: nonostante i soli 5 minuti di durata ci sono tante variazioni, una struttura cangiante e cambi di mood e atmosfera. Particolarmente buoni sono il riff portante intrecciato alle melodie della tastiera con Lazare sugli scudi e l'accelerazione dopo il break centrale.
La traccia più particolare e originale (tra suggestioni settantiane, atmosfere decadenti e una certa epicità di fondo), in un disco peraltro molto compatto e omogeneo. Merito, ancora una volta, delle capacità di Lazare (anche co-scrittore del pezzo) con un ottimo lavoro che alterna Hammond e pianoforte e di un ottimo Vintersorg, particolarmente a suo agio con le variazioni di ritmo e tono della canzone.
Origin (2006)
In una discografia molto compatta e coerente, la mosca bianca è rappresentata da Origin, un album prevalentemente acustico dove, grazie anche alla presenza di strumenti classici come violini e flauti, i Borknagar esplorano il loro lato più folk ed evocativo, in brani dominati da atmosfere bucoliche e rilassanti. Un esperimento che, fortunatamente, evita la trappola della pretenziosità e che si lascia ascoltare, a patto di essere nel mood giusto. È comunque corretto sottolineare l'ottimo lavoro di Øystein G. Brun alla chitarra acustica e un Vintersorg particolarmente a suo agio con le atmosfere soffuse.
Non troppo a sorpresa, il primo brano scelto è la versione acustica di un classico della band, quella "Oceans Rise" che apriva The Archaic Curse. Più che una semplice cover, una vera e propria reimmaginazione del brano dominato dall'Hammond di Lazare nella prima parte e dai violini contrapposti al tipico suono del basso fretless di un redivivo Tyr nella seconda parte.
Il brano più soffuso e rilassante del lotto, tra flauti, piacevoli arpeggi acustici, un Vintersorg impeccabile, l'immancabile Hammond e un uso estremamente azzeccato degli archi. Una tipica canzone in crescendo che rappresenta, a mio parere, l'highlight di questo particolarissimo album.
Universal (2010)
Rispetto al precedente lavoro "elettrico", Epic, la formazione norvegese perde per strada il batterista Asgeir Mickelson, sostituito dall'americano David Kinkade e vede tornare il chitarrista ritmico Jens Ryland, dopo una pausa di un paio di dischi. Nonostante la distanza di 6 anni tra Epic e Universal, i due lavori sono molto simili, più sbilanciati sul lato progressivo della musica dei Borknagar, con composizioni piuttosto dense e complesse e dalla struttura piuttosto libera, tutti fattori che rendono l'ascolto sicuramente impegnativo, anche per colpa di una produzione ancora una volta problematica [se volete approcciarvi a questo disco, molto meglio farlo con il discreto remaster uscito lo scorso anno]. Insomma, ci vogliono sicuramente alcuni ascolti per entrare in sintonia con l'album, anche se riesce a risultare sicuramente più accessibile rispetto al monolite Epic. Da sottolineare, comunque, la continua crescita di Vintersorg dietro al microfono.
Si potrà obiettare che "Havoc" sia un brano tutto sommato prevedibile nel suo essere al cento per cento Borknagar con le sue alternanze tra momenti tirati e momenti più melodici, l'ormai riconoscibilissima impronta di Lazare con l'Hammond e l'atmosfera epica e malinconica, ma questo non toglie che si tratti di un pezzo piacevole e ben eseguito, un'ottima opener.
Dopo dieci anni di assenza, a sorpresa torna come ospite dietro al microfono l'ottimo Vortex (nel frattempo silurato dai Dimmu Borgir) e il risultato è ottimo. Brun sceglie per lui un brano ritmato, melodico ed epico, che si adatta alla perfezione al timbro del colossale cantante norvegese. Anche qui, molti degli stilemi tipici dei Borknagar sono presenti: l'inizio più aggressivo, il break strumentale centrale e il finale melodico ed evocativo. Tutto forse un po' prevedibile, ma come sempre efficace.
Urd (2012)
Dopo la comparsata nel pezzo finale di Universal, "My Domain", per Vortex è l'ora di tornare ufficialmente all'ovile, complice anche la defezione di Tyr: Vintersorg rimane il cantante principale della band, mentre Vortex si occupa del basso e condivide il ruolo di seconda voce con Lazare, rendendo così ancora più dinamiche le ottime linee vocali dell'album. Rispetto al recente passato il sound torna a essere più lineare e accessibile con una maggiore dose di aggressività e istintività. Il risultato? Nonostante alcune tracce leggermente meno riuscite e una durata forse eccessiva, Urd è un lavoro decisamente riuscito che chiude idealmente il cerchio dei primi 16 anni di attività della band. Una nota: a seguito della pubblicazione di questo disco, i Borknagar riusciranno finalmente a tornare a suonare dal vivo, con il veterano cantante Pål "Athera" Mathiesen a sostituire Vintersorg come session man.
Il brano è stato scelto come primo singolo e l'ho sempre trovata una scelta strana, visto che non si tratta certo della canzone più immediata, tra un'intro quasi doomeggiante, una parte centrale più tirata e complicata e un finale molto esaltante con Vintersorg sugli scudi. Da sottolineare l'utilizzo di cori e sovraregistrazioni che donano al pezzo un'atmosfera quasi solenne in alcuni tratti.
Come già scritto in precedenza, Vortex non scrive moltissimi brani per i Borknagar, ma quando lo fa lascia sempre il segno e "Frostrite" non fa certo differenza. Un'esaltante cavalcata che sfrutta al meglio la capacità del cantante norvegese di creare linee vocali estremamente epiche e le mette al servizio di un brano che si fa apprezzare sin dal primissimo ascolto. Insomma, il buon Simen ci era maledettamente mancato.
Winter Thrice (2016)
In occasione del ventennale del primo album, Øystein G. Brun decide di fare le cose in grande e celebrare l'anniversario richiamando addirittura Krystoffer Rygg [nel frattempo divenuto un cantante sopraffino con gli Ulver] come ospite. Il risultato è che sul disco si alternano ben 4 cantanti differenti (5 se contiamo la comparsata di Athera) rendendo le canzoni molto più dinamiche e movimentate dal punto di vista delle linee vocali. Per il resto il disco è una vera e propria celebrazione, non solo nel titolo (che si ricollega alla strofa finale di "The Dawn of the End"), ma soprattutto nel sound. Infatti Winter Thrice è sicuramente il lavoro più immediato e accessibile della band, dove la forma canzone è semplificata e lo stile della band "canonizzato", grazie anche a una produzione molto pulita. Da un lato è innegabile che il sound dei Borknagar abbia perso quella patina di imprevedibilità e istintività, ma , dall'altro lato, il songwriting è di qualità altissima, con una tracklist che, praticamente, non ha punti deboli o passaggi a vuoto. A livello di formazione, si segnala l'ingresso (purtroppo temporaneo) del talentuosissimo giovane batterista Baard Kolstad, noto per il suo passato da artista di strada a Oslo.
Selezionare le due canzoni da aggiungere è stato molto duro, in quanto, come scritto qui sopra, la tracklist non presenta punti deboli (personalmente adoro "When Chaos Calls", per esempio), però ho dovuto puntare su brani che fossero rappresentativi e con la maggiore interazione tra i cantanti. L'opener "The Rhymes of the Mountain" è, in questo senso, perfetta. I tre cantanti (Vintersorg, Lazare e Vortex) hanno ognuno il proprio ruolo, quasi a sottolineare le anime del sound della band. Il pezzo è esaltante e immediato, un perfetto compendio della musica dei Borknagar.
Il secondo brano selezionato doveva per forza includere la presenza di Krystoffer Rygg, che rappresenta un po' l'evento di questo lavoro. Se la scelta d'obbligo sarebbe stata la title track "Winter Thrice", dove Garm è assoluto protagonista, devo ammettere che, a livello di gusti personali, preferisco nettamente la traccia finale "Terminus", più epica e istintiva e con una maggiore presenza di Vintersorg (sostanzialmente relegato ai soli screaming vocals nella title track). In particolare, adoro il malinconico break prima del finale dove Krystoffer Rygg può esprimere al massimo le proprie capacità a livello di interpretazione e feeling, seguito dall'esaltante finale con uno dei migliori ritornelli mai partoriti dalla band norvegese.
True North (2019)
Terminate le celebrazioni, è tempo di nuovi scossoni in casa Borknagar. Visto l'ottimo riscontro di critica e pubblico ottenuto da Winter Thrice, Øystein G. Brun decide di riprendere un'attività live intensa. Per migliorare la qualità degli show e dell'intesa tra i musicisti la formazione della band deve essere la stessa sia in studio che dal vivo: questo vuol dire, purtroppo, dover salutare (in modo assolutamente amichevole) Vintersorg (che non solo vive in un altro Stato, ma negli ultimi anni aveva avuto pesanti problemi fisici che ne hanno limitato gli spostamenti) e riportare Vortex a essere il cantante solista dopo quasi 20 anni. Anche Jens Ryland saluta definitivamente la band, così come Baard Kolstad, troppo preso dall'attività con i Leprous per potere seguire anche i Borknagar in tour: saranno sostituiti dai giovani e relativamente sconosciuti Jostein Thomassen alla chitarra ritmica e da Bjørn Dugstad Rønnow (raccomandato dallo stesso Kolstad) alla batteria.
Con una nuova, stabile, formazione, può finalmente prendere forma True North. Se l'approccio non si distanzia molto da quello del precedente Winter Thrice, con canzoni più lineari e accessibili, questo album presenta decisamente una maggiore varietà, istintività e una rinnovata voglia di osare. Anche in questo caso non ci sono praticamente punti deboli nella tracklist e True North merita un posto tra le migliori opere dei Borknagar.
Con una nuova, stabile, formazione, può finalmente prendere forma True North. Se l'approccio non si distanzia molto da quello del precedente Winter Thrice, con canzoni più lineari e accessibili, questo album presenta decisamente una maggiore varietà, istintività e una rinnovata voglia di osare. Anche in questo caso non ci sono praticamente punti deboli nella tracklist e True North merita un posto tra le migliori opere dei Borknagar.
Ancora un brano scritto da Vortex e, immancabilmente, un altro centro. "Up North" è forse il brano più solare e allegro mai fatto dai Borknagar, un inno, sincero, genuino e forse anche un po' ingenuo sulle bellezze del Nord Europa cantato con gran trasporto da Vortex. Da sottolineare anche un Lazare letteralmente scatenato all'Hammond che dà al brano un sentore quasi psichedelico in certi punti.
"Voices", brano scritto e cantato dall'ottimo Lazare, è una delle canzoni più peculiari mai apparse su un album dei Borknagar, caratterizzata da un'avvolgente atmosfera a metà strada tra il malinconico e il solenne. In particolare, è azzeccatissima la struttura in continuo crescendo: si parte con giusto la voce di Lazare (semplicemente perfetta per un brano così sentito e introspettivo) e piano piano tutti gli altri strumenti diventano protagonisti fino ad esplodere nel ritornello finale, prima di tornare alla sola voce del tastierista. Una di quelle canzoni che riesce sempre a darmi i brividi e, giustamente, già entrata a pieno diritto tra i classici dei Borknagar.
Sono passati ben 5 anni dal precedente True North, ovviamente in gran parte per colpa della pandemia e della necessità di riprogrammare l'intero tour di supporto al disco, ma, fortunatamente, questa volta non si registrano scossoni in seno alla formazione dei Borknagar. Fall è un lavoro che continua sul solco tracciato da True North, rinunciando però, in parte, alla linearità e immediatezza, dando vita a tracce più articolate e progressive. Da sottolineare l'ottima cura delle linee vocali, mai così dinamiche e con i due cantanti (entrambi in forma smagliante) a scambiarsi continuamente i ruoli di voce principale e voce secondaria. Un ritorno solido e convincente; peccato per un inizio un po' sottotono e per la mancanza di un brano che sia in grado di sparigliare le carte, come lo erano stati "Voices" e Wild Father's Heart" sull'album precedente.
In un album alquanto compatto, "Unraveling" rappresenta sicuramente l'eccezione: una traccia ricca e particolare, piena di micro-variazioni e contrasti, tra momenti più evocativi e malinconici, e momenti più scatenati e psichedelici. Davvero ottimo il lavoro di Lazare alla voce (anche scrittore del brano), supportato dagli screaming vocals di Vortex.
Northward
Sono stato indeciso fino all'ultimo se inserire il terzo singolo "Moon", classico brano tirato ed esaltante scritto dalla penna di Vortex o "Northward", la traccia conclusiva. Alla fine ha vinto il secondo, una suite di quasi 10 minuti che rappresenta in modo brillante una specie di compendio del sound dei Borknagar. Variazioni, cavalcate esaltanti ed epiche, momenti più intimisti e malinconici, un utilizzo perfetto delle due voci, e linee di chitarra ricchissime: una canzone memorabile.
Tutti i dischi dei Borknagar sono disponibili in formato fisico e digitale su tutti i maggiori store online. L'intera discografia è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming. Per maggiori informazioni sull'ultima uscita Fall, visitate la Pagina LinkTo della band o il loro Sito Ufficiale.
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