Quello dei canadesi Spiritbox è decisamente un nome molto caldo nella scena metal attuale. Nati nel 2017 dalle ceneri dei folli Iwrestledabearonce, gli Spiritbox sono stati fondati dal chitarrista Mike Stringer e dalla cantante Courtney LaPlante (compagni anche nella vita, oltre che sul palco): con giusto un paio di EP e un full length (Eternal Blue) alle spalle, la formazione canadese ha saputo catturare da subito l'interesse del pubblico, come ben testimoniato dagli importanti numeri macinati sulle piattaforme di streaming.
Le ragioni dietro a questo successo? Sono sicuramente molteplici, a partire dall'ottimo songwriting diretto e immediato, dalla bravura di tutti i musicisti coinvolti e dalla versatilità di Courtney LaPlante, convincente sia nella parti in growl che in quelle pulite e dotata di un ottimo timbro vocale. Ma, soprattutto, sono una band che ha capito che, per raggiungere un pubblico più ampio, giovane ed eterogeneo (non necessariamente di stampo tipicamente metal), bisogna adottare un approccio trasversale, con un sound personale e riconoscibile che però sia in grado di attraversare generi anche distanti.
Così gli Spiritbox spaziano senza paura tra brani pesantissimi riconducibili al djent e, addirittura, al deathcore, canzoni più tipicamente metalcore, pezzi con un afflato più progressivo piuttosto ispirati al sound dei britannici TesseracT e, infine, tracce che non disdegnano di finire in territori più vicini all'alternative metal più radiofonico, se non addirittura al pop e all'elettronica, che sfruttano appieno le doti canore di Courtney. Aggiungendo a questo una durata media dei brani che raramente supera i 4 minuti, un flusso costante di singoli, video e mini-EP, un songwriting che sa essere complesso senza mai perdere di vista la forma canzone, e otteniamo la ricetta per un successo sorprendente, ma solo fino a un certo punto. Con questo non voglio in alcun modo sostenere che gli Spiritbox siano un gruppo costruito a tavolino [dubbio che invece ho per gli Sleep Token, altra band dal sound alquanto trasversale e divisivo, e decisamente in rampa di lancio in quanto a popolarità], ma solo una band che ha capito che il futuro della musica pesante passa dall'ibridazione e dell'abbattimento dei muri tra i generi.
Finito questo lungo preambolo, passiamo dunque a The Fear of Fear, un EP di sei brani utile a capire lo stato di forma degli Spiritbox dopo i fasti di critica e pubblico di Eternal Blue. Rispetto al disco precedente, la band canadese ha visto l'ingresso in formazione di Josh Gilbert, bassista e cantante proveniente dagli As I Lay Dying, e c'era una certa curiosità per capire se la formazione canadese avrebbe sfruttato le sue più che discrete doti canore che però sono percepibili solo in pochi frangenti ed è sostanzialmente utilizzato come corista di lusso.
Il disco si apre con la violenta e pesantissima "Cellar Door", dominata da sonorità riconducibili al djentcore e da riff alquanto densi e pesanti, con Courtney che dimostra ancora una volta di possedere un growl efficace e decisamente non monocorde (difetto comune ad alcune sue colleghe, anche più popolari di lei).
Cambio totale di atmosfera con "Jaded", caratterizzata da ritmiche metalcore e sostenuta da un valido tappeto di tastiere e da un ritornello molto immediato ed efficace.
Il brano migliore del lotto è, secondo me, "Too Close / Too Late", più imprevedibile nella struttura con le sue ritmiche progressive, le sue variazioni di tempo, un chorus alquanto efficace e un finale decisamente esaltante.
Con "Angel Eyes" arriviamo a sfiorare addirittura territori vicini al deathcore, per la canzone più tirata e cattiva del disco, con una presenza alquanto importante di inserti elettronici, che aumentano il senso di straniamento.
La successiva "The Void" è stato scelta come primissimo singolo dell'EP (presentato ben 7 mesi prima dell'uscita): una scelta sicuramente non casuale, in quanto è sicuramente la traccia più immediata del disco, con ritmiche quasi danzerecce (nonostante la complessità di fondo), melodie semplici e accattivanti e un buon ritornello che si stampa immediatamente in testa. Un buon manifesto del perché gli Spiritbox riescano ad avere così tanto successo.
Chiude l'EP "Ultraviolet", la canzone più lenta e ritmata, giocata su melodie e atmosfere pop, con le chitarre generalmente più in secondo piano rispetto alle tastiere. È anche l'unico brano dove si può chiaramente notare la presenza delle backing vocals di Josh Gilbert, soprattutto nella parte finale, che rendono ancora più efficaci le sempre ottime linee vocali di Courtney.
The Fear of Fear è un EP che sicuramente non riserva grandissime sorprese e che ripropone lo stesso sound di Eternal Blue, giusto un pelo più sbilanciato verso il lato melodico, ma che certifica lo stato di grande forma degli Spiritbox, con un songwriting sempre efficace e centrato. Come per Eternal Blue, la band canadese sembra avere una certa difficoltà a coniugare le varie anime della propria musica all'interno di un unico brano: ci sono due tracce molto violente opposte a quattro tracce dominate invece dalla melodia e da ritornelli immediati e radiofonici; manca, insomma, una certa imprevedibilità di fondo, che donerebbe ancora più dinamismo al sound degli Spiritbox.
In conclusione, The Fear of Fear, nonostante gli appena 25 minuti di durata, rappresenta un'ottima conferma per la band canadese, sempre più lanciata nel panorama della musica rock e metal moderna.
The Fear of Fear è disponibile in formato digitale e fisico sul sito ufficiale dell'etichetta Rise Records. E' inoltre disponibile in formato fisico e digitale su tutti i maggiori store online. Il disco è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming, oltre che sulla Pagina Bandcamp della band. Per maggiori informazioni sugli Spiritbox, visitate la Pagina LinkTree della band.
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