Il portale Fumettologica, nostro amato punto di riferimento, ha recentemente pubblicato una sapida selezione di “10 grandi fumetti degli X-Men”. Articolo godibilissimo, come tutti quelli di Fumettologica, ma come spesso succede in questo genere di liste i risultati, per quanto condivisibili, sono abbastanza scontati, soprattutto per i lettori di vecchia data.
E allora, molto per divertimento e un poco per spirito da underdog, ecco altre 10 storie degli X-Men, forse meno famose ma altrettanto grandi.
Tre premesse al prezzo di due
1. Mi sono limitato a storie apparse sulle testate mutanti “principali” nell’accezione comune del termine, per cui Uncanny X-Men, (Adjective-less) X-Men, Astonishing X-Men (anche se mi è scappata dentro una mini-serie). Per questo restano fuori storie bellissime come Demon Bear dei Nuovi Mutanti e i capolavori dell’X-Factor di Peter David (come il fondamentale X-Aminations, pietra miliare di chi ha iniziato a leggere i mutanti nei 90s).
2. Giustamente Fumettologica ha scelto saghe o run disponibili in TPB e acquistabili facilmente per i lettori di oggi. Io mi sono preso la libertà di scegliere momenti magari non circoscritti ad una singola saga, oppure singoli albi che molto probabilmente si possono trovare in qualche omnibus. Non c’è stata la volontà di fare “il difficile”; semplicemente tutta la mia scelta si basa sulla lettura dei singoli albetti americani.
1. La saga del Dio del Sole
Non c’è dubbio che l’apice creativo del tandem Claremont/Byrne sia la Saga di Fenice Nera, tuttavia anche le storie che la precedono sono bellissime, e in particolare la saga “giramondo” che vede gli X-Men sbattuti da un circo di provincia dell’America profonda all’Antartide e dalla Terra Selvaggia al Giappone (la cosa peggiore che può succedere agli X-Men, a mio modestissimo parere, è restare nella Mansion di Westchester a deprimersi… opinione che avrò modo di approfondire in questo articolo).
In questa manciata di episodi gli X-Men diventano un team di avventurieri-giustizieri “puri”, calcando le orme di tutti gli eroi letterari e non che li hanno preceduti, da Tarzan a The Phantom. Affrontano tutti i clichè del genere, dal villaggio nella jungla alla città perduta fino al sacrificio umano, come se fossero stati catapultati nel classico della Hammer “She”, in cui non può mancare la super-sexy sacerdotessa Zaladane destinata, a distanza di molti anni, a far pendere la bilancia morale di Magneto dalla parte sbagliata.
2. Il periodo “sociale”
Il mio periodo preferito in assoluto degli X-Men è quello che coincide più o meno con il primo run di John Romita Jr come penciller. È un periodo stra-pieno di idee (quello che M. M. Lupoi chiamò “la soap opera mutante”), ricchissimo nel background, con una forte iniezione di realismo, e c’è Louise Simonson a tenere a bada i feticismi di Claremont. Consideriamo gli episodi che vanno dalla saga di Kulan-Ghat (poi ripresa da Kurt Busiek e George Perez nei loro Avengers) allo scontro con Nimrod e il Club Infernale a Central Park. In mezzo ci sono Il processo di Magneto, Lupo Ferito, Rachel Summers che arriva ad un passo dal distruggere l’Universo e il duello per la leadership degli X-Men fra Tempesta e Ciclope, nella versione cetriolone preferita da Claremont. Scusate se è poco…
Poi purtroppo a Chris gli scappa la marcia e inizia il Massacro Mutante.
3. Il periodo Australiano
Un altro momento in cui gli X-Men si liberano, almeno per un po’, di tutto il loro pesantissimo fardello di sensi di colpa e superiorità morale è quello che segue la Caduta dei Mutanti. Gli X-Men trovano casa in un villaggio fantasma in Australia, sono morti agli occhi del mondo, sono invisibili ai dispositivi elettronici, possono andare dove vogliono grazie ad un teleport, menare duro e tornare a casa impuniti a prendere il sole. Ricorda qualcosa? Ne riparliamo fra un attimo. Grazie anche al miglior Marc Silvestri di sempre, credo possiamo definire questo periodo come il più sexy degli X-Men in assoluto. In fondo il gruppo è formato da cinque sventole cinque, e i maschietti sono limitati a Colosso, Logan e il povero Alex Summers.
Dura poco però: poi purtroppo a Chris gli scappa la marcia e inizia Inferno.
4. Tigri nella notte
Quando c’era da mettere su i Manowar e picchiare duro, a Scottino gli è sempre mancato quel non so che. In un piano editoriale, saldamente in mano a Bob Harras, che prevedeva un “evento” (a quell’epoca si chiamavano cross-over) all’anno, le cose migliori di Lobdell si trovano spesso a fine evento, quando la polvere si deposita. Per esempio nella bella e divertente “X-breakfast” (Uncanny 337) che chiude il super-roboante evento di Onslaught. Oppure nel furbetto e super-osannato - con fazzoletto in mano - Uncanny 303, la morte di Illyana Rasputina per Legacy Virus (chi se lo ricorda?).
Ma il vero capolavoro di Lobdell è questo singolo albo, disegnato guarda un po’ da John Romita Jr, in cui Xavier (nel periodo in cui, per diktat harrasiano, era diventato il Martin Luther King mutante nonchè father figure universale) e Magneto (tornato sulla scena come un invasato fondamentalista isolazionista) si spogliano dei propri ruoli e si affrontano come ex-amici, scambiano segreti, parlano di donne e in sostanza si rivelano due esseri umani arroccati sulle proprie idee ma legati da un sentimento fortissimo.
Menzione speciale meritano altre due operine di Lobdell, i due numeri “minus 1” in cui, soprattutto in (Adjectiveless) X-Men minus 1, continua il ritratto di Amelia Voight, probabilmente il miglior personaggio creato da Lobdell, a cui è sempre mancato lo spazio per realizzare tutta la propria potenzialità.
5. Brood: Day of Wrath
Non solo per le matite widscreen e super-cinematiche di Brian Hitch, ma per il concetto degli X-Men come team picchiaduro che arriva, li fa tutti neri e se ne va. Un episodio più unico che raro nella melma mutante degli anni 90, contraddistinta da un continuo aggiungere materiale narrativo senza mai risolvere nulla. Certo le “voci” dei personaggi, curate da John Ostrander, suonano un po’ diverse da come siamo abituati, ma ditemi che quel Ciclope sorridente, macho e sicuro di sè (secoli prima della “cura Whedon”) non fa scorrere un brivido lungo le vostre schiene. Cetriolone no more, almeno per un po’.
Mi sono sempre domandato che fine abbia fatto la povera moglie del Predicatore, messa in stasi nei sotterranei della X-Mansion per essere ritrovata, probabilmente, da Bastion o da Sugar Man o da Cassandra Nova o da Danger o da qualcun altro che si è grattato la testa e ha detto “vabbeh”.
Piccola parentesi: due Carneadi
Chi si ricorda di Joe Kelly e Steven Seagle? Nessuno.
Uno dei rarissimi esempi di scrittura in tandem, i due giovani sceneggiatori si rimpallarono le trame mutanti per una manciata di numeri, con grandissimi artisti come Chris Bachalo e il compianto Carlos Pacheco a fornire le matite. Tuttavia nessuna delle loro idee è rimasta nel tempo. L’ennesima “cura” per Rogue (che ovviamente lascia il tempo che trova, come quella che si inventerà Carey anni dopo), il trasloco dei 5 X-Men originali a fare i borghesotti in Alaska, la terrificante saga dei “Deadly X-Men” che oggi verrebbe da dire che almeno era inclusiva… Ahimè, c’era la sensazione di una maggiore solidità narrativa, ma il tempo è crudele.
6. Supernovas
Altro splendido esempio di team disfunzionale ma che sa menare sul serio quando serve. Anarchia totale e infatti a guidarlo c’è un’anarchica come Rogue, che nel casino ci sguazza. Nè Ciclope nè Tempesta avrebbero potuto tenere le redini di questa squadra tanto assurda quanto geniale: Sabretooth, Mystique, Lady Mastermind, Cable, i gemelli Beaubier… Purtroppo fra tradimenti e deviazioni narrative l’incanto si spezza presto, ma i primi numeri di Joe Carey sono ancora ottimi (e non dimentichiamo le ispirate visioni di Chris Bachalo).
7. Xenogenesis
Warren Ellis non ha mai brillato sui mutanti. Certo, ha provato a inserire se stesso (nei panni di Scott Moulder) come personaggio in Excalibur solamente per fare sesso con Kitty Pryde (ancora minorenne, se dobbiamo credere alla pezza che Chris Claremont volle metterci anni dopo).
Ma il solito cinismo di facciata del buon Warren si è espresso bene solo in questa saga (dopo la pesantissima Ghost Box, e prima di Exogenetik dove praticamente il protagonista è l’aereo degli X-Men), graziata dai disegni di Kaare Andrews e, come vuole il copione, via dalla X-Mansion per una gita in un villaggio africano ben poco turistico, dove si riprendono addirittura le fila (con complicità tutta British) di antichissime storie del Captain Britain di Jaimie Delano. Un Ciclope all-business, una Emma Frost feticcio, parecchio sopra le righe, e soprattutto una lezione di storia contemporanea africana (compreso Nelson Mandela) tenuta da Logan (che probabilmente oggi non potrebbe più essere pubblicata) punteggiano un’ottima storia, di puro mestiere ma scorrevolissima.
8. New X-Men 127 e 142
“Ma come - starà pensando qualche lettore - niente Grant Morrison? Niente del genio che mentre Claremont (con il 2nd run) clonava Magneto da un pelo pubico rimasto sull’orlo di un bicchiere di mojito (l’immagine viene da un vecchio commento su un forum che, chissà perchè, è rimasta impressa nella mia memoria tutto questo tempo), lui ci metteva l’underground, ci metteva mutanti stronzi, moderni e soprattutto allupati come ricci???”
Ebbene caro lettore non temere, sono ben due le perle di Grant che citerò.
La prima è la storia narrata in prima persona da Xorn: bella, lirica e un po’ zen, che acquista tutta un retrogusto amaro quando si realizza che in realtà è raccontata da Magneto (il Magneto geniale ingannatore e bastardo di Roy Thomas, il Creatore, non quello di Claremont) che vuole farci fessi tutti. Per cui i sentimenti che questa storia genera nel lettore oscillano verso le due estremità dello spettro emozionale, in un perenne vibrare quantistico, e solo Grant poteva creare una storia del genere.
L’altro gioiellino è l’inizio della saga Assault on Weapon Plus ed è anche il momento in cui l’incanto fra Morrison e lo staff editoriale Marvel si rompe. È l’ultima bella storia di Morrison, dalla seguente si avverte il totale distacco emotivo dell’autore verso i personaggi, tutto assume la dimensione di un compitino fatto con il pilota automatico solo per rispettare il contratto. Ma in questo ultimo numero ispirato, c’è Ciclope che cerca di sbronzarsi di prosecco, ci sono Logan e Sabretooth che fanno pipì insieme, c’è un gioco di sceneggiatura e scrittura perfetto, gestito al meglio da Chris Bachalo.
9. X-Men 004 e 007 (2020)
Sarà per la “A” sulla cintura, sarà perchè una divinità kirbyana monolitica in un mondo tutto sfumature e dettagli come quello degli X-Men ci azzecca poco secondo me, ma uno dei migliori risultati della gestione Hickman è sicuramente aver trovato il ruolo adatto a En Sabah Nur.
Il numero 004 degli X-Men riprende con grande perizia il “periodo politico” e apre un nuovo scenario: gli X-Men a Davos, culla del globalismo capitalista, punto di incontro dei veri padroni del mondo. E cosa succede quando una minoranza, finalmente, acquisisce il Potere, quello vero? I potenti “vecchi” (anziani, griffati, studiati, sfacciati, superbi) cercano di blandire e addolcire, mettono in campo la diplomazia ma lasciando bene in chiaro che le redini restano saldamente in mano a chi di dovere… O almeno così vorrebbero. Gli X-Men, come metafora di ogni minoranza odiata e repressa, entrano finalmente nelle stanze del Potere… con un tizio con due katane sulle spalle.
Cosa succede quando “i buoni” diventano potenti? Persino Alessandro Bottero ha commentato questa storia, sul suo profilo FB, tracciando parallelismi con realtà sociali e politiche che, viste le tragedie attuali, è meglio lasciare all’interpretazione del lettore.
Il numero 007 invece entra più nel “mito” ridefinito da Hickman per il suo progetto editoriale, e l’inquadramento morale, religioso o semplicemente legislativo della possibilità di continua resurrezione che è alla base dello stato di Krakoa. La questione è talmente complessa che lo stesso Hickman non può che (verbosamente) riflettersi nei dubbi di Nightcrawler, in un albo che potrebbe benissimo essere interpretato come apologia del suicidio. Roba pesa. Però, anche qui, Apocalisse come boia, oppure come metafora dell’uccidere il sé per raggiungere l’illuminazione, trova finalmente uno scopo che non sia circondarsi di brutti ceffi in gruppi di quattro.
10. X-Men 1-12 (2022)
Il primo ciclo di Gerry Duggan e del bravo Pepe Larraz ci riporta un po’ a dove abbiamo iniziato: in un’atmosfera visiva molto byrniana, un’ennesima interpretazione degli X-Men come gruppo d’azione sciolto da catene di continuity. Viaggi, glamour, avventure, amore non corrisposto e scazzottate, cosa chiedere di più? Da sottolineare come il personaggio più riuscito del run sia probabilmente Polaris, tenuta in secondo piano ma vero personaggio a tutto tondo, la più potente di tutti (non per niente è un Magneto al femminile), con un tocco di posh e una depressione appena accennata. C’è un ottimo film d’azione in questa dozzina di numeri, in cui segnalo l’ottimo confronto psichico fra Ciclope e MODOK, e i semi, purtroppo, del peggior manierismo mutante, come il Dottor Stasis che si parla addosso tutto il tempo esattamente come facevano Sugar Man o Trevor Fitzroy.
Il ciclo di Duggan/Larraz è anche l'ultimo momento felice di un'utopia che, come sempre succede con i mutanti, finisce nel modo peggiore (leggasi: Hellfire Gala 2023). Avremo ancora belle storie degli X-Men? È una domanda che mi perseguita dagli anni 90. Per concludere questo articolo, la risposta la rubo ad una canzone di Giorgio Gaber: "Oggi no, domani forse, ma dopodomani... sicuramente!"
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