Baroness - STONE (Recensione)

 

Copertina dlel'album STONE dei Baroness


Nota: Mi perdoni il buon John Dyer Baizley, leader dei Baroness, nonché autore della splendida copertina dell'album, se ho dovuto leggermente censurare quest'opera d'arte, ma è sempre meglio andarci con i piedi di piombo con gli algoritmi di controllo automatico. Potete trovare la copertina originale sul sito ufficiale dei Baroness, e più precisamente cliccando QUI.

I Baroness sono una di quelle band che pareva pronta a fare il grande salto e a potere esplodere a livello di successo (almeno nella sempre più piccola nicchia della musica pesante), ma poi si sono fermati lì in virtù di scelte coraggiose (e al contempo controverse) in termini di produzione, songwriting e marketing. 
Dopo gli ottimi inizi (Red e Blue) nel segno di uno sludge al contempo pesante e melodico con palesi riferimenti al progressive rock anni '70, la band di Savannah aveva trovato subito la quadra con lo spettacolare Yellow and Green, un doppio album dove il sound della band si ammorbidiva alla ricerca di una forma canzone più semplice e immediata. Il risultato è un piccolo capolavoro, graziato da alcuni pezzi memorabili ("March to the Sea", "Take My Bones Away", "Eula" e "Board Up the House" su tutti) e dove i Baroness riuscivano a codificare uno stile personale e riconoscibilissimo, soprattutto nelle melodie.
 
Il successivo Purple, complice l'ingresso in formazione della nuova sezione ritmica formata da Nick Jost e Sebastian Thomson, caratterizzata dal perfetto bilanciamento tra tecnica e feeling, ha costruito sul sound codificato dal precedente lavoro con maggiori suggestioni derivate dall'hard rock settantiano, senza però dimenticare la forma canzone (si segnala soprattutto la spettacolare "Chlorine and Wine" brano catartico con cui John Dyer Baizley racconta le settimane passate in ospedale a seguito di un terribile incidente con tourbus); il risultato è un lavoro esaltante, ma, probabilmente, anche un vicolo cieco creativo. Continuare a riproporre indefinitamente lo stesso sound basandosi solo sul songwriting o prendere scelte più personali e controverse per continuare l'evoluzione?
I Baroness, a seguito dell'arrivo della talentuosa chitarrista Gina Gleason, hanno scelto la seconda, sfornando il controverso Gold and Grey, un disco viziato da una produzione molto densa e impastata, assolutamente inadatta all'ascolto in streaming, dove il sound della band americana diventa più complesso, ermetico e ondivago, meno legato alla forma canzone: un disco molto compatto con cui è, a distanza di 4 anni, ancora difficile approcciarsi. 

E arriviamo così al nuovo STONE, ulteriore tassello evolutivo della formazione americana, che sembra parzialmente correggere il tiro: la produzione è finalmente più pulita, soprattutto sulla sezione ritmica e sembra puntare decisamente nel mettere in evidenza soprattutto il riffing, a scapito degli assoli di Gina Gleason, relegati un po' sullo sfondo. Anche il sound è tornato a essere più lineare e, soprattutto, meno ermetico. Si riesce a entrare in sintonia con l'album molto più facilmente e a colpire maggiormente è il ritorno a riff più potenti e compressi che pescano dal metal pesante anni '80, che così diventano il motore trainante dal disco. Non che questo voglia dire che STONE sia un lavoro immediato, in quanto ci vogliono decisamente diversi ascolti per interiorizzare al meglio la nuova proposta dei Baroness, soprattutto nella seconda parte. 

Dopo l'ormai immancabile intro acustica, STONE parte subito alla grande con "Last Word", pezzo piuttosto emblematico, dove si nota il contrasto tra i riff piuttosto oscuri e rocciosi e le tipiche melodie ariose dei Baroness; nota di merito per l'ottimo ritornello dove l'interazione tra le voci di John e Gina dona una maggiore profondità alle melodie. "Beneath the Rose" è invece un brano più complesso e potente, giocato tra le strofe dove John si diletta con passaggi quasi declamati e un classico ritornello trainante. 

Dopo un inizio così incoraggiante, l'album purtroppo si sgonfia: "Choir" vorrebbe essere una canzone sperimentale e atmosferica, dominata da ritmiche ipnotiche, tastiere e dallo spoken word di John, ma che si rivela essere un totale e pretenzioso passaggio a vuoto. Le cose non vanno molto meglio con "Anodyne", altro brano piuttosto oscuro e dominato da un riff compresso e ossessivo, che però sembra preparare a un'esplosione che non arriva mai.

Superato il passaggio a vuoto, STONE riesce a riprendersi in modo brillante, prima con "Shine", la traccia più complessa e progressiva del lotto caratterizzata dalle lunghe e ottime sezioni strumentali, e soprattutto con "Magnolia", classico brano in crescendo che parte su melodie soffuse per poi esplodere in un incedere marziale e arrivare a un finale magniloquente ed emozionante, prima della calma finale. Un vero e proprio gioiello che svetta nettamente sul resto del disco. 

Tocca quindi a "Under the Wheel", altro brano lento e ritmato, dominato da un riff nervoso e pesante che, però, ci mette troppo tempo a esplodere e che finisce per annoiare. Il finale del disco è affidato a un altro pezzo acustico dal sapore bucolico, "Bloom", dove è la voce di Gina Gleason a svettare su quella di John,  e che funge da più che discreta outro.

In conclusione, STONE è un disco che corregge parzialmente il tiro rispetto al controverso e poco riuscito [a mio modestissimo parere, ovviamente] Gold and Grey, mostrando un'interessante evoluzione nel sound dei Baroness (compreso un inaspettato ritorno a un riffing più roccioso), senza per quello snaturare le proprie caratteristiche, soprattutto per quanto riguarda le riconoscibilissime melodie. Purtroppo, a tradire parzialmente i Baroness è la qualità del songwriting, con una parte centrale decisamente sottotono e una "Under the Wheel" che chiude la parte "elettrica" del disco in modo abbastanza deludente. Detto questo, quando l'album funziona, gira decisamente bene e la qualità è molto alta, soprattutto nella splendida "Magnolia", senza ombra di dubbio uno dei pezzi migliori della ormai ampia discografia della band americana.
A mancare, forse è il brano killer, quello che ti aggancia subito, come lo erano stati "March to the Sea" e "Chlorine and Wine". Nonostante i passaggi a vuoto, STONE merita sicuramente l'ascolto e conferma i Baroness come una delle band dal sound più personale sulla scena: in tempi di estrema standardizzazione sonora e con centinaia di gruppi metal che pubblicano settimanalmente nuovo materiale, è un risultato assolutamente degno di nota.

STONE è disponibile in formato digitale e fisico (insieme a una marea di splendido merchandise) sul sito ufficiale della band YourBaroness. E' inoltre disponibile in formato fisico e digitale su tutti i maggiori store online. Il disco è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming, oltre che sulla Pagina Bandcamp della band. Per maggiori informazioni sui Baroness, visitate la Pagina LinkTree della band. Se amate l'arte di John Dyer Baizley, cantante, chitarrista e leader dei Baroness, visitate il suo Sito Personale.


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