L'altro giorno stavo dando un'occhiata al video ufficiale (disponibile su YouTube) di tutta la prima data da headliner dei Fear Factory col nuovo cantante italiano Milo Silvestro. Oltre a constatare il buono stato di forma della band dopo anni di inattività forzata e il fatto che Milo sembra essersi integrato alla perfezione (nonostante un certo timore reverenziale verso le linee vocali di Burton C. Bell), riascoltare alcune canzoni mi ha fatto pensare a quanto siano stati importanti i Fear Factory nella storia e nell'evoluzione della musica metal e, soprattutto, come il loro capolavoro Demanufacture non solo sia invecchiato benissimo, ma risulti, a distanza di quasi 28 anni, ancora attualissimo. Perché si può discutere per ore su chi abbia inventato cosa per primo, ma, nel 1995, non c'era nessun disco che suonasse come Demanufacture e la band guidata da Dino Cazares è stata forse la prima a unire tanti elementi apparentemente distanti e a renderli canonici nel mondo metal.
Nati agli inizi degli anni '90 per volontà del chitarrista Dino Cazares e del batterista Raymond Herrera, i Fear Factory esordiscono nel 1993 con Soul of a New Machine un lavoro ancora grezzo e acerbo, seppur molto promettente: il sound è indubbiamente ancora derivativo e debitore in parte verso le evoluzioni di industrial, thrash, death e grind di quegli anni, senza dimenticare il groove metal degli ormai lanciatissimi Pantera (Vulgar Display of Power uscì giusto un anno prima rispetto al debutto dei Fear Factory). Aldilà di questo, alcuni degli elementi che andranno a formare l'ossatura del cyber metal dei Fear Factory sono già presenti: la potente batteria di Raymond Herrera, colonna portante di tutto il sound, il riffing potente ed essenziale di Dino Cazares che segue i pattern ritmici della batteria e l'alternanza tra growl e clean vocals di un Burton C. Bell ancora acerbo, ma già efficace. Ma nessuno avrebbe potuto immaginare che, tempo due anni, la band americana (ora stabilizzata con l'arrivo del bassista Christian Olde Wolbers che, seppur accreditato, non partecipò attivamente alle registrazioni del disco) avrebbe sfornato un vero e proprio capolavoro, ovvero Demanufacture.
Prima ancora di parlare della musica, a colpire come prima cosa è lo splendido ed iconico artwork, opera dell'immenso Dave McKean, che ha saputo interpretare in modo essenziale e perfetto l'anima della band: la fusione tra organico e meccanico/digitale è infatti non solo il tema portante di gran parte dei testi, ma è totalmente rispecchiato anche nella musica che unisce idealmente la potenza del metal a suoni elettronici; qualcosa che 28 anni fa non era affatto scontata, né generalmente accettata dal pubblico.
L'inizio di Demanufacture è di quelli memorabili: lontani suoni meccanici lasciano spazio a una doppia cassa triggeratissima che suona come una mitraglia (importante sottolineare anche l'importanza della perfetta e rivoluzionaria produzione di Colin Richardson, abilissimo a dare all'album un sound unico), mentre le tastiere (opera di Rhys Fulber, vero e proprio membro "fantasma" della band e tassello fondamentale del sound dei Fear Factory), fredde, oscure ed evocative introducono il riff portante, basato sui pattern di doppia cassa di Raymond Herrera. Il suono della chitarra di Dino Cazares è freddo, essenziale e, soprattutto, potentissimo. L'ultimo tassello è la voce potente e incazzata di Burton C. Bell che urla a squarciagola il suo odio nell'atipico ritornello:
"I've got no more goddamn regrets, I've got no goddamn respect"
La title track "Demanufacture" è uno degli opener più fulminanti nella storia del metal, una rasoiata che stordisce l'ascoltatore per potenza e precisione. Ed è solo l'inizio.
"Self Bias Resistor" è forse il perfetto manifesto del sound dei Fear Factory con i pattern atipici di doppia cassa e chitarra nella strofa, il perfetto contrasto nel ritornello tra la potenza e la velocità delle ritmiche, e la melodia portata dal cantato pulito ed evocativo di Burton C. Bell: probabilmente il miglior brano del lotto in un disco senza difetti. Struttura molto simile anche per il successivo "Zero Signal", dove però si apprezzano maggiormente elementi più sperimentali portati dalle tastiere di Rhys Fulber, decisamente molto presenti, soprattutto nel memorabile break centrale dominato da stranianti suoni cibernetici.
Dopo una partenza così tirata, arriva finalmente l'ora di tirare un po' il fiato con "Replica" (forse la canzone più popolare in assoluto dei Fear Factory), canzone caratterizzata da una struttura più lineare, dove i ritmi si fanno meno asfissianti e dove a svettare è la voce di Burton C. Bell, soprattutto sull'evocativo e immediato ritornello. Ma è solo la quiete prima della tempesta, perché "New Breed" è sicuramente il pezzo più potente e straniante dell'intero disco, una delirante cavalcata cibernetica dove i Fear Factory non hanno il minimo timore reverenziale nell'unire ritmiche martellanti e riff cattivissimi ai suoni elettronici mutuati dalla techno hardcore (!) di quegli anni, in un ibrido assurdo e rivoluzionario, soprattutto in tempi dove pochi osavano unire il sacro verbo del metallo ai suoni elettronici.
Perfetto spartiacque dell'album è la cover di "Dog Day Sunrise", brano degli Head of David (una delle tante band di Justin Broadrick prima della fondazione dei Godflesh), ottimamente assimilato nello stile dei Fear Factory. Un memorabile riff spaccaossa dà il via alla seconda parte del disco: "Body Hammer" è un brano compatto e senza fronzoli, sicuramente più lineare e prevedibile del terzetto iniziale, che però funziona alla perfezione.
Se proprio dobbiamo trovare un difetto a Demanufacture, possiamo dire che il binomio di canzoni "H-K (Hunter Killer)" e "Flashpoint", pur se validissimo, non riesce a brillare quanto il resto del disco, soprattutto per i ritornelli meno memorabili. Fortunatamente ci pensa il capolavoro "Pisschrist", forse il brano più strutturato e complesso dell'intero disco, a riportare il disco a livelli mostruosi: basato su tanti cambi di ritmo e atmosfera, la canzone è un'esaltante cavalcata chiusa dal memorabile ed evocativo finale dominato dalle tastiere e dalla voce pulita di Burton C. Bell che ripete ossessivamente la frase "Where is your saviour now?". Giusto il tempo della solenne e atmosferica outro "A Therapy for Pain", interamente basata sulle tastiere, e Demanufacture si conclude: 55 minuti senza cali di tensione, un vero e proprio capolavoro che suona ancora freschissimo a quasi 30 anni di distanza e pietra miliare per l'evoluzione della musica metal.
Come detto, si può discutere a lungo sul fatto che i Fear Factory abbiano in realtà preso elementi già presenti in altre band e li abbiamo miscelati alla perfezione in un cocktail esplosivo, ma non c'è dubbio che l'influenza della band capitanata da Dino Cazares sulla musica metal sia stata alquanto significativa. La batteria triggerata dal suono freddo e potente, i riff essenziali totalmente basati sui pattern di batteria, la totale mancanza di assoli, l'alternanza tra cantato aggressivo e pulito (che sarà poi presa di peso anni dopo da un certo tipo di metalcore) e l'ibridazione del metal con suoni elettronici derivati da techno e hip hop sono tutti elementi che oggi diamo per scontato e che sono presenti in gran parte della scena metal moderna (partendo dal nu-metal, passando per metalcore e affini, e finendo con l'alternative metal in voga attualmente negli States), ma che 28 anni fa suonavano come unici e alieni.
Demanufacture è disponibile in formato fisico e digitale su tutti i maggiori store online. Il disco è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming. Per maggiori informazioni sui Fear Factory, visitate la Pagina LinkTree della band.
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