Recensioni a cura di Albyrinth
Nota Importante: Questo articolo contiene sicuramente diversi SPOILER sui film e le serie tv della Fase 4 del Marvel Cinematic Universe. Grazie.
Moon Knight
Se c'è un prodotto emblematico dei problemi che hanno avuto i film e le serie appartenenti alla Fase 4 del MCU, questo è sicuramente Moon Knight: una serie abbastanza disastrosa, sicuramente tra le cose peggiori mai viste in questo universo narrativo, nonostante le premesse intriganti.
Steven Grant (interpretato da Oscar Isaac) è un timido impiegato in un negozio di souvenir di un museo egizio a Londra che soffre di periodiche amnesie. Dopo essersi risvegliato senza alcun ricordo nelle Alpi svizzere nel mezzo di una bizzarra cerimonia guidata dal misterioso Harrow (interpretato da Ethan Hawke, sfruttato alquanto male nella seria), Steven comincia ad avvertire una voce nella testa e a subire continui blackout, fino a risvegliarsi sano e salvo nel suo appartamento. Ben presto scoprirà di soffrire di disturbo dissociativo della personalità e di condividere il corpo con una personalità che si fa chiamare Marc Spector, che conduce una vita molto differente della sua: è un ex-mercenario che, dopo un patto con la divinità egizia Konshu, ne è diventato l'avatar, ottenendo così i poteri e il costume di Moon Knight; Marc è inoltre sposato con l'archeologa egiziana Layla (interpretata da May Calamawy), che lo verrà a cercare a casa. Steven scoprirà così di essere in possesso di un misterioso scarabeo d'oro, in realtà una specie di bussola per trovare il luogo di sepoltura della dea egizia Ammit, bramato da Harrow, che vuole infatti resuscitare la dea, divenirne l'avatar e giudicare preventivamente l'intera umanità, giustiziando chiunque potrebbe commettere del male. Ne nascerà una rocambolesca avventura in Egitto dove Steven/Marc scoprirà la verità su se stesso, sul dio Konshu e su Moon Knight.
Pur se rappresentata in maniera alquanto cinematografica e poco realistica, l'idea di un supereroe affetto da disturbo dissociativo della personalità poteva portare a un prodotto interessante e potenzialmente originale. Purtroppo, nonostante Oscar Isaac ce la metta davvero tutta a rendere credibile il suo doppio ruolo di Steven/Marc (in originale, tra l'altro, si può apprezzare l'utilizzo di diversi accenti per le personalità), la serie tracolla sin dal primo episodio a causa dei suoi tanti problemi. Innanzitutto la trama è confusa, densissima (come già era facile capire dal breve riassunto qui sopra), piena di incongruenze e, alla fine, non così interessante. Come spettatore, ho trovato ridicola tutta la storia del pantheon di dei egizi e dei loro avatar, così come la minaccia portata da Harrow e dalla dea Ammit non appare mai così grossa e letale.
Gli sceneggiatori non sembrano avere mai le redini della narrazione: la storia procede per accumulo di situazioni e toni differenti che non si amalgamo mai come dovrebbero, un guazzabuglio dove l'ironia è utilizzata spesso a sproposito e dove si alternano momenti più seriosi e intimisti a momenti che sembrano uscire da un copia fatta male di un film di Indiana Jones, fino a momenti più visionari e surreali, senza soluzione di continuità. A questo si aggiunge una regia generalmente sciatta, effetti speciali altamente deficitari, scene d'azione girate alquanto male e recitazione approssimativa (si salva solo Oscar Isaac), tutto ben lontano dallo standard qualitativo medio dei prodotti Marvel. In particolare, l'episodio finale è letteralmente disastroso, con dèi egizi giganteschi animati da pessima CGI che si menano (molto lentamente) sullo sfondo, mentre Moon Knight e lo scopiazzatura di Wonder Woman in salsa egizia combattono confusamente contro Harrow: ci si aspetterebbe un climax quantomeno soddisfacente, ma gli sceneggiatori decidono di non mostrarci nulla con la scusa dei blackout per preparare il colpo di scena finale, una scelta quasi delirante.
Insomma, si salva ben poco nella serie dedicata a Moon Knight: un momento più visionario dove ci si chiede se questa sia la realtà o la fantasia di una mente malata e il quinto episodio, dove ci viene narrata l'origine del disturbo dissociativo del protagonista. Davvero troppo poco per risollevare questa serie dal baratro.
Doctor Strange nel Multiverso della Follia
[Alcune parti di questa mini-recensione, sono riadattate dalla mia precedente recensione completa del film. Potete leggerla cliccando su Questa Pagina]
Durante il ricevimento di nozze della sua ex Christine (sempre interpretata da Rachel McAdams) il Doctor Strange si ritrova a combattere contro un enorme mostro proveniente da un'altra dimensione; dopo averlo sconfitto, scopre che il mostro stava dando la caccia a una ragazzina chiamata America Chavez (interpretata da Xochitl Gomez), dotata del potere di aprire portali verso altri universi del multiverso, un potere che, però, non sa ancora controllare. Constatato che il mostro era controllato dalla magia, Strange si confronta con Wanda Maximoff, capendo ben presto che è lei, ormai corrotta da potere del libro oscuro Darkhold, a volere catturare America per sfruttare il suo potere e rubare i gemelli creati durante gli eventi di WandaVision da un'altra dimensione. Quando Strange deciderà di difendere la vita di America a tutti i costi, Wanda, ora divenuta Scarlet Witch, scatenerà tutta la sua nuova potenza per attaccare Kamar Taj e lasciare una scia di sangue e distruzione; Strange e America si ritroveranno a fuggire in altre dimensioni per salvarsi.
Sin dagli inizi, una delle maggiori critiche rivolte al MCU è stata la mancanza di personalità, un'omogeneità che ha creato uno stile vincente e perfettamente riconoscibile, ma che, secondo molti, ha portato a un ridimensionamento del ruolo del regista, quasi un mero esecutore sotto il controllo di Kevin Feige. Sicuramente, scegliendo un regista come il grande Sam Raimi e dandogli completa libertà, il film non incorre in questo difetto.
Dopo un inizio con il freno a mano tirato, Raimi prende saldamente il controllo con tutto l'armamentario di inquadrature tremolanti e sghembe, zoomate audaci, umorismo slapstick e un po' di sana anarchia. Dal secondo atto in poi, non c'è dubbio che si tratti in tutto e per tutto di un suo film, con alcune scene cariche di un'inventiva incredibile (lo scontro "musicale" con lo Strange corrotto proveniente da What If...? è in questo senso l'highlight dell'intera pellicola e c'è ovviamente anche lo zampino di Danny Elfman). Ma soprattutto, è il primo film del MCU ad avere un intero atto indubbiamente di stampo horror. Le sequenze con Scarlet Witch della pellicola che arriva nell'universo alternativo a caccia di Strange sono cariche di tensione e non risparmiano efficaci jump scare e, addirittura, una più che discreta dose di splatter.
Se Raimi è il maggior fattore caratterizzante della pellicola, il fattore decisivo risulta essere Benedict Cumberbatch: l'attore britannico riesce ad andare oltre i vincoli di caratterizzazione e sceneggiatura dando sempre qualcosa di più al personaggio. Espressioni, carisma, atteggiamento, il modo di muoversi: il suo Doctor Strange va oltre la semplice caratterizzazione o trama, ha una personalità unica e definita. Insomma, è l'interpretazione di Cumberbatch a fare la differenza, soprattutto in una pellicola dove, invece, l'arco narrativo dedicato al personaggio è fin troppo lineare e prevedibile.
Dove il film invece inciampa pesantemente è, invece, nella sceneggiatura: quasi schiacciata dal dovere introdurre il multiverso e le sue regole nel MCU, la trama va avanti a scossoni, costantemente rallentata dal dovere inserire continui spiegoni e nell'inventare regole non sempre coerenti, in particolare con il primo film.
L'altro grosso tasto dolente è la gestione di Scarlet Witch lungo tutto il film. Non c'è la minima ambiguità, tempo dieci minuti e sappiamo già chi è il vero villain, quando invece si sarebbe potuto più giocare sui concetti di alleanza e tradimenti. E, senza alcuna valida spiegazione, la ritroviamo iperpotenziata, capace prima di mettere in crisi l'intera Kamar-Taj e poi di schiacciare alcuni degli essere più potenti del multiverso senza battere ciglio. Avere reso Scarlet la villain del film è, inoltre, una scelta realmente fastidiosa, che rinnega del tutto l'evoluzione avuta dal personaggio di Wanda all'interno di WandaVision.
A conti fatti Doctor Strange nel Multiverso della Follia si rivela un'occasione in parte sprecata, soprattutto quando poteva contare su due fuoriclasse assoluti come Raimi e Cumberbatch: dopo un ottimo primo film dedicato al personaggio, questo sequel gira su territori più banali e stereotipati, con uno sceneggiatore più preoccupato di accumulare elementi in vista dei prossimi grandi crossover, che di rendere giustizia ai personaggi.
Ms. Marvel
Con Ms. Marvel, finalmente si esce un minimo dalla comfort zone dei tipici prodotti MCU, andando a creare una serie più leggera e frizzante, chiaramente indirizzata a un pubblico di teenager. Nonostante non sia chiaramente parte del target di riferimento da un bel po' di anni, devo dire che, almeno per la prima metà, Ms. Marvel si è rivelato un prodotto davvero fresco e ben realizzato, prima di soccombere ai tipici stilemi supereroistici.
Kamala Khan (interpretata da Iman Vellani) è una sedicenne di origine pachistana, grande ammiratrice degli Avengers. Nonostante il divieto dei protettivi genitori di andare a una gara di cosplay degli Avengers, Kamala decide di andarci di nascosto, travestendosi da Capitan Marvel e utilizzando dei bracciali speditele dalla nonna per abbellire il costume. Kamala, però, non potrà certo immaginare che i bracciali riusciranno ad attivare dei superpoteri latenti, cambiandole la vita. I bracciali, però, attireranno le attenzioni sia dei Clandestine, una pericolosa famiglia di djinn proveniente da un'altra dimensione, sia di Damage Control, agenzia governativa responsabile di limitare i danni dovuti ad attività supereroistica. La vita da supereroina si rivelerà quindi da subito piuttosto complicata per la simpatica Kamala.
La serie si può dividere idealmente in tre parti. I primi due episodi di Ms. Marvel sono francamente deliziosi: la scelta di concentrarsi su Kamala, i suoi problemi di adolescente e la sua stramba famiglia pachistana, piuttosto che puntare sul drammone supereroistico, è vincente, e garantisce subito alla serie una grande leggerezza. In più l'utilizzo di animazioni e riferimenti metatestuali dona alla serie di Ms. Marvel una sua personalità e un look distintivo, oltre che un ottimo ritmo. Iman Vellani, nonostante sia al suo esordio come attrice, si rivela una scelta di casting azzeccata per la protagonista, rendendo il suo personaggio tridimensionale e credibile. Da sottolineare anche come un argomento sicuramente spinoso quale l'integrazione di una famiglia musulmana negli States, sia trattato in modo rigoroso, ma assolutamente non pesante, cosa molto apprezzabile in tempi dove i temi sociali sono sempre urlati e trattati con eccessiva seriosità e austerità.
Purtroppo, nel momento in cui i Clandestine entrano in scena (episodi 3 e 4), la serie perde gran parte della sua originalità per rientrare nei comodi quanto banali canoni supereroistici, con dei villain usa e getta, una minaccia altamente generica correlata all'obiettivo dei cattivi e botte da orbi.
Dopo un buon quinto episodio, Time and Again, dove la trama si incrocia con un flashback risalente alla notte della partizione dell'India, la serie si conclude con un bislacco e pacchiano episodio che si può riassumere come una sorta di Mamma Ho Perso l'Aereo in salsa supereroistica: forse un po' troppo sopra le righe, ma comunque, a modo suo, divertente.
Ms. Marvel ha l'indubbio merito di essere una serie con un'identità e un target di riferimento preciso: non vuole essere una storia iper-spettacolare di supereroi, ma più un percorso di crescita della protagonista adolescente. Fin quando è il personaggio di Kamala (circondata dai suoi amici e familiari) il fulcro della narrazione, la serie riesce davvero a brillare; quando si trasforma, per forza di cose, in una serie supereroistica, Ms. Marvel perde molto del suo charme, mantenendo comunque un livello accettabile, grazie anche a una buona regia e a effetti speciali adeguati.
Una piccola nota: Kamala rappresenta a tutti gli effetti la prima mutante ad apparire nel MCU e anche questo è un piccolo evento, alla fine.
Thor: Love and Thunder
[Alcune parti di questa mini-recensione, sono riadattate dalla mia precedente recensione completa del film. Potete leggerla cliccando su Questa Pagina]
Reduce dagli eventi di Avengers Endgame, Thor si è unito ai Guardiani della Galassia, partecipando alle loro avventure galattiche. Dopo avere ricevuto un segnale di soccorso da Sif, Thor è costretto a separarsi dal gruppo per soccorrere l'asgardiana, che è stata pericolosamente ferita da Gorr (interpretato da un seriosissimo Christian Bale), un potente alieno autoproclamatosi "Macellatore degli Dei". Sif avverte Thor del fatto che il prossimo obiettivo di Gorr è New Asgard. Una volta raggiunta la comunità asgardiana sulla Terra, il Dio del Tuono scopre che la sua ex-fidanzata Jane Foster (ancora una volta interpretata da Natalie Portman) è stata ritenuta degna dalla sua precedente arma, il martello Mjolnir, trasformandola nella Potente Thor. Il duo combatte contro Gorr, che però riesce a fuggire, rapendo molti bambini asgardiani. Parte così la ricerca del covo di Gorr, durante la quale Thor scoprirà che Jane è in realtà malata terminale di cancro e l'utilizzo di Mjolnir sta ulteriormente diminuendo il tempo che le resta da vivere, rendendo lo scontro finale ancora più drammatico.
Guardando Thor: Love and Thunder, l'impressione è che lo stesso Taika Waititi (regista e co-sceneggiatore della pellicola), fosse indeciso su che film realizzare: una classica storia avventurosa Marvel con le origini della Potente Thor e lo scontro con il cattivo Gorr o una pellicola anarchica con Thor a spasso per mondi differenti sul canovaccio dei Guardiani della Galassia? Entrambe le idee avrebbero potuto funzionare in un film a sé stante, più conservativa la prima scelta, più audace la seconda. Invece Love and Thunder si ferma a metà del guado risultando una pellicola insoddisfacente sotto tutti i punti di vista: le scene più comiche e folli sembrano togliere spazio e tempo a quelle relative alla trama principale di Jane e Gorr, mentre il tono più drammatico della trama principale stride moltissimo con la comicità strabordante, rendendola fuori luogo.
Il bilanciamento è proprio uno dei problemi maggiori del film: l'umorismo (tra l'altro di qualità non certo stratosferica, anzi) è strabordante, ne satura totalmente i primi novanta minuti, annichilendo trama, sviluppo dei personaggi, coerenza interna e, alla fine, credibilità. Anche nei momenti in teoria più seri e drammatici (la malattia di Jane Foster o il rapimento dei bambini di Asgard) non manca mai la battutina fuori luogo.
Anche la sceneggiatura rivela diversi buchi, con molte scene che non sono state girate o tagliate: a farne le spese sono stati soprattutto i personaggi di Jane Foster e Gorr. In particolare la scelta di non mostrare la prima trasformazione di Jane Foster nella Potente Thor, priva il personaggio di tutto il suo percorso di crescita. Lo stesso si può dire del villain della pellicola, Gorr, di cui vediamo giusto le origini prima di arrivare al primo scontro con Thor e Jane. Per essere un personaggio soprannominato "Il macellatore degli Dei", di violenza e di dei morti ne vediamo ben pochi, visto che tutto avviene in scene tagliate e non mostrate.
L'altro problema macroscopico di Thor: Love and Thunder è la qualità degli effetti speciali. E' chiaro che i grossi problemi di CGI presenti nel film sono solo i sintomi più visibili di una situazione molto più articolata e complessa che sta investendo tutte le produzioni Marvel. Nonostante questo, è francamente inconcepibile che un film costato 250 milioni di dollari (!) presenti della CGI così dozzinale e poco rifinita. In particolare è la prima mezz'ora di film a soffrire maggiormente, con la prima scena di azione quasi inguardabile con i personaggi che si muovono in maniera totalmente inverosimile e plasticosa. Situazione che non migliora di molto per tre quarti di pellicola, tornando a livelli accettabili solo nello scontro finale fra i Thor e Gorr.
Con una serie di problemi così marcati, è ovvio che Thor: Love and Thunder finisca per deludere parecchio, risultando una delle pellicole peggiori del MCU. Anche il cast, ottimo sulla carta, soffre particolarmente la sceneggiatura e il tono generale del film, andando palesemente fuori giri. E' un peccato, perché Taika Waititi è un regista dotato di talento e personalità, l'utilizzo della colonna sonora è molto azzeccato e la storia aveva tante potenzialità inespresse: tutti pregi che si perdono nel mare di idiozia e incoerenza di Thor: Love and Thunder.
I Am Groot
I Am Groot è una serie di cinque cortometraggi animati di breve durata (circa 25 minuti in tutto) che esplora alcune avventure vissute dal personaggio di Groot tra il primo e il secondo film dei Guardiani della Galassia. Non c'è molto da dire: le storie si ispirano allo slapstick e al cinismo dei classici Looney Tunes e sono divertenti e adorabili. Un esperimento estemporaneo che speriamo sarà replicato in futuro con altri personaggi del MCU (magari con diversi studi di animazione all'opera, come successo sull'ottimo Star Wars Visions).Finisce qui la terza parte di questo lungo articolo dedicato alla Fase 4 dell'Universo Cinematografico Marvel.
La quarta è disponibile a questo URL:
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